Amati dal sottoscritto ed odiati dal sottoscritto. Amati sui canoni Doom e Gothic ma altrettanto odiati sulle divagazioni fin troppo psichedeliche che ogni tanto li hanno visti allontanarsi dalla strada maestra, i
Lake Of Tears son ancora qua, e a 4 anni dal passo falso di "
Moons and Mushrooms", i quattro svedesoni danno alle stampe "
IllWill", un album alquanto
strano per loro.
Le 10 tracce sono - oserei dire - piuttosto scarne e dirette, rocciose e senza troppi fronzoli anche se la melodia non è mai in discussione. Ed è proprio questo atteggiamento da "ehy man, we are dangerous" che riesce ad intrigarmi e a convincermi che la linfa in loro è ancora bella densa e viva. Per darvi due coordinate due, è come se al bellissimo "
Black Brick Road" venisse estirpato qualche momento Gothic per essere rimpiazzato da un poco di
ghiaia.
Certo, il loro stile a volte pinkfloydiano e piuttosto intimista non è messo in discussione ed in disparte ("
House Of The Setting Sun") anche se - devo dire - è molto meno presente che in passato, ma brani come l'opener "
Floating Darkness", "
The Hating" "
Parasites" e la conclusiva "
Midnight Madness" sono forse gli episodi più taglienti e up tempo della loro discografia (leggi bei riffoni serrati straight in your face - ragazzi, "
Parasites" sembra uscita dai Motorhead!)
Ottima è anche "
U.N.S.A.N.E.", una song tutta basata sul un riffing aperto ed accentato adagiato su una doppia gran cassa continua che fa tanto anni '90, anche se l'apice in assoluto è costituito da "
Behind The Green Door", una song al 1000%
LOT, in cui la voce e la tastiera (praticamente non ancora apparsa fino ad ora nelle songs precedenti) danno una goccia di luce ad un mood decisamente Goth, molto accattivante e danceable
(ndr - nel 1972 uscì un film porno con lo stesso titolo).
Altra chicca da assaporare è "
Out Of Control", una cavalcata mid tempo a classico trademark
Lake Of Tears che cresce, ti avvolge e ti coinvolge con il passare dei secondi.
In conclusione, siamo davanti a un album decisamente dinamico e a tratti selvaggio se messo in relazione a quanto la band oramai ci aveva abituato, in cui gli albori ritornano fondendosi con i classici elementi
LOT, assolutamente non deludendo (deo gratias!) l'ascoltatore.
Non completamente al livello di "
Black Brick Road" (e non cito l'immenso, incomminsurabile "
Forever Autumn", ancora oggi uno degli album più... autunnali e melanconici che mi sia capitato di ascoltare finora) ma decisamente MOLTO MOLTO VALIDO.
Ah, come godo nel riassaporarli!
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