L'alternanza...Se molti se ne riempiono solo la bocca, gli svedesi
Bloodbound sembrano invece averla presa davvero sul serio, anche se poi sono stati i loro cantanti a farne le spese.
Infatti, sul loro ottimo esordio, "Nosferatu" uscito nel 2006, aveva fatto un'ottima figura l'ex Tad Morose Urban Breed, a sorpresa sostituito prima da Kristian Andrén e quindi da Michael Bormann, il quale aveva poi cantato sul secondo album del gruppo, "Book of the Dead".
Breed aveva tuttavia fatto ritorno per il loro terzo lavoro, "Tabula Rasa", ma la sua collaborazione era durata poco, e così sull'appena uscito "Unholy Cross", troviamo un nuovo vocalist: Patrik Johansson.
A leggerne il nome mi ero quasi illuso che fosse lo stesso Patrik Johansson che ha fatto grandi cose con gli Astral Doors ed anche con Lion's Share e Wuthering Heights, invece si tratta di un quasi (gli manca appunto il
Nils) omonimo, anche se in realtà nemmeno lui è del tutto sconosciuto, visto che in occasione del debutto dei Dawn of Silence,
"Moment Of Weakness", aveva suscitato impressioni più che positive.
Ed ora, riascoltandolo su "Unholy Cross", è evidente come il suo approccio vocale non sia cambiato, i riferimenti a Bruce Dickinson non mancano, e comunque non stonano nel percorso musicale (re)intrapreso dai Bloodbound, un po' meno taglienti ma sempre lesti a scorazzare tra il Power Metal di formazioni come Edguy, Hammerfall e Dream Evil, ed il più classico Heavy Metal, Iron Maiden in testa.
L'iniziale "Moria" giunge puntuale a confermare quanto appena affermato, con in più un pizzico di quel Metal Neoclassico che affiora negli assoli, soluzioni che trovano poi conferma nell'altrettanto valida "The Ones We Left Behind". E rincara la dose la ritmata "Drop The Bomb", che oltre a graffiare è in grado di offrirci anche un bel refrain. Davvero un bel inizio, ma tra le cose migliori che i Bloodbound sanno mettere sul piatto del loro quarto disco troviamo anche le heavy tracks "In for the Kill" e "Message from Hell".
E "Unholy Cross" sarebbe stato un ottimo disco se solo avesse evitato alcune cadute di tono, come la scontatissima ballad "Brothers of War" (all'apice della banalità) o le deboli "Together We Fight" e "The Dark Side of Life" (peraltro fin troppo in debito, rispettivamente, con Edguy e Gamma Ray), resta quindi
solo un buon lavoro, e se non altro ci riconsegna dei Bloodbound al top della forma, e questo non era così scontato.