Acclamato dalla critica e dal pubblico (soprattutto da quello di “casa”), tanto da attirare l’attenzione di una label importante come la Spinefarm, che licenzia il suo primo albo (in origine su Rocket Songs) con l’aggiunta di due brani … E chi sono io per mettere in
dubbio le qualità del duo svedese in questione, condensato sotto il monicker cumulativo
Houston?
Fortunatamente la questione proprio non si pone, perché Hampus Erix e Freddie Allan, coadiuvati da autorevoli ospiti (Tommy Denander, Mats Olausson, Thomas Vikstrom, …) e prodotti dal luminare del genere Ricky Delin sono
effettivamente straordinari interpreti della grande tradizione rock melodico, quello scritto con il cuore e poi vissuto attraverso le fibre di tutto il corpo, proprio come ogni esperienza
sensoriale degna di questo nome.
L’AOR dei nostri non ha nulla di originale, è bene chiarirlo, ma come già accaduto di recente con i conterranei Miss Behaviour, sfoggia un gusto compositivo così brillante e disinvolto da riuscire a farlo svettare dal cumulo massificante dei tanti tentativi d’imitazione che caratterizzano un settore in netta ripresa.
Il fatto che si tratti di una formazione “giovane”, sprovvista di un background particolarmente prestigioso, è, nell’ottica di un’indispensabile “conservazione della specie”, un motivo di compiacimento che li accomuna ancora una volta agli autori dello strepitoso “Last woman standing” e anche se sono assimilabili anche i fondamentali modelli artistici, gli Houston sembrano ancora più legati dei loro colleghi alle radici americane del settore, in un profluvio di citazioni che rimandano direttamente a Survivor, Giant, Boston, Foreigner, Styx, Journey e REO Speedwagon e che offrono la vera chiave di lettura di un disco “splendidamente conservatore”.
Ecco, forse, solo una lieve sensazione di eccessiva
prevedibilità (che, tanto per continuare nel paragone, non avevo rilevato nella prova dei Miss Behaviour), potrebbe in qualche modo ridurre la portata emotiva di “Houston” e tuttavia si tratta davvero di un’ombra fugace, quasi impercettibile, dissolta quasi istantaneamente da una successione di brani da considerare un’autentica “libidine” per gli apparati
cardio-uditivi degli appassionati.
E allora scorriamolo, con una certa difficoltà nel contenere il numero di aggettivi e superlativi da usare come riproduzione dell’entusiasmo, questo programma in sostanza impeccabile, cominciando da “Pride”, “Hold on”, “I'm alive” (appena inferiore, eppure adattissima per la colonna sonora di un film tipicamente yankee), “One chance” e “Misery”, superbe trascrizioni dell’arte immarcescibile dei Survivor, con Journey e Foreigner nel ruolo d’immacolati contributori ispirativi, proseguiamo con “Truth slips” (female vocals by Helena Alsterhed) perfetta nel suggestivo sviluppo armonico e nella presa rapida del coro, meravigliamoci per l’eccellenza “commerciale” di un pezzo come “Give me back my heart”, un gioiellino che aggiunge certe cose degli Asia al ricco quadro dei potenziali riscontri orientativi.
“She's a mystery” concede qualcosa alle tendenze più recenti del pop-rock melodico, con un mood un po’ alla The Rasmus, “Now” sfoggia l’ennesima melodia vincente, questa volta privilegiando l’aspetto romantico, “1000 songs” è un mid-tempo vaporoso assai gradevole, mentre “Under your skin” e “Chasing the dream”, le bonus-track di quest’edizione del disco, sono tutt’altro che i classici “specchietti per le allodole”, confermando, la prima grazie ad un suggestivo clima westcoast-
iano (vagamente alla John Waite) e la seconda per merito di una eccelsa e vibrante coreografia “adulta”, le qualità di una band di livello superiore.
Due parole, infine, da vero fanatico delle cose riguardanti il campo della “fonazione modulata”, per la voce di Hampus “Hank” Erix, da giudicare come un’intrigante ibridazione timbrica Moratti / Jamison, tanto “familiare”, quanto pertinente ed emozionante.
Facile, dunque, riconoscere nelle scintillanti note di “Houston”, le stimmate di un’autentica rivelazione, e con l’alto patrocinio della Spinefarm, a voi non resta che goderne in maniera incondizionata.