La denominazione poteva lasciar intendere di aver a che fare con una formazione esplicitamente devota al culto dello stoner e delle acide atmosfere “desertiche”, ma sono sufficienti pochi istanti della crepitante opener “Turn me on” per capire che il rock di cui si dichiarano “prigionieri” questi ragazzi marchigiani è decisamente più legato a Led Zeppelin, AC/DC, Deep Purple, The Cult (periodo post “Love” … in effetti l’opener di “Sonic temple”
qualche indizio ispirativo avrebbe dovuto fornirmelo …) e, in parte, allo street metal americano (Guns n’ Roses, Skid Row, Kix, …), che non a Blue Cheer, Kyuss, Monster Magnet, Orange Goblin e compagnia lisergico-canicolare.
L’operazione è effettuata adottando una discreta dose di creatività, temperamento e buon gusto e se non fosse per un coordinamento sonoro e ritmico (la presenza di tre diversi batteristi evidenzia una criticità in questo senso, a quanto sembra ora risolta con l’ingresso in pianta stabile di Roberto Tesei) ancora abbastanza fragile, si potrebbe tranquillamente parlare di un gruppo pronto ad affrontare l’ambiziosa sfida del primato nell’ambito del settore “followers with attitude”, così ricco e ben frequentato negli ultimi tempi.
Scoprire che, in realtà, il Cd in questione è la raccolta dei primi due album autoprodotti del gruppo e che sono solo tre i pezzi nuovi, non aiuta molto ad individuare precisamente le vere possibilità attuali dei
Sun King e le loro potenziali prospettive, eppure il mio “istinto” e il mio fedele apparato
cardio-uditivo mi suggeriscono di aggiungerli immediatamente all’elenco delle coalizioni musicali degne di stretto monitoraggio, in virtù di una capacità compositiva che, sebbene un po’
sottotraccia, sembra già poterli far sollevare dall’impietoso cumulo massificante dell'
underground.
E allora, direi di cominciare ad addentrarci nei solchi digitali del lavoro partendo proprio dai tre inediti: “Three times rock” è un solido hard-rock cadenzato piuttosto efficace, “Your love” aggiunge all’impasto un pizzico di funky elettrico e un ritornello di grande effetto, mentre “A sign” esplora il lato bucolico della band in un’incisiva ballata alimentata da una buona dose di sensibilità e impreziosita dal violino dell’ospite Lucia Bordi.
Tra il materiale più datato, invece, ritroviamo una vibrante “After the night”, il tiro e la suggestiva costruzione di “A wave”, lo spirito blues, il riff Queen-
esque (“Tie your mother down”) e le vocals vagamente Meine-
iane di “The dance of darkness “, tutta roba capace di destare ottime impressioni, e, tutto sommato, anche “I rock I roll” nella sua
rigorosa veste anthemica (facile immaginarla come momento di rilievo un’esibizione live), la granitica e forse un po’ troppo “familiare” (Rainbow, Dio, …) "Man of the mountain” e “Hippogriff”, interessante nella scrittura (tra riverberi di Zeps, Purple, british metal e … Bowie!) e tuttavia sviluppata senza la necessaria compattezza, lasciano alla fine sensazioni positive.
Segnalazione dovuta pure per l’ugola espressiva di Ivan Perugini e per la fervida gestione chitarristica che il frontman condivide con il bravo Giacomo Pettinari.
In conclusione, i Sun King di “Prisoners of rock” rappresentano al tempo stesso qualcosa più di una “promessa” e qualcosa meno di una “certezza”, perché oltre ai “dettagli” (in un mercato saturo e superficiale come quello attuale, anche la minima
distonia ha il suo peso) squisitamente tecnici di cui abbiamo già riferito, hanno ancora bisogno di un incremento di personalità che li renda veramente riconoscibili e non li faccia confondere nel mare magnum dei
retro-rockers che affollano il terzo millennio.
Qualcuno ha detto “
It’s a long way to the top if you wanna rock n’roll” … la strada, però, è sicuramente quella giusta … non mollate, ragazzi, io faccio il tifo per voi!