C’è molto, moltissimo da dire su “
Testimony 2” e sul suo creatore,
Neal Morse. Così tanto che riuscire a dare al tutto un’apparenza organica e strutturata mi sembra un’impresa ardua, e del risultato della quale non mi sento di garantire.
Partiamo da lui, Neal Morse. Chi non lo conosce può tranquillamente essere annoverato tra coloro che NON amano il prog-rock. Neal è stato, nelle ultime due decadi, una delle figure di spicco della scena, prima con i ‘suoi’
Spock’s Beard, poi, dopo la svolta religiosa e la conseguente dipartita artistica dalla band, come solo artist.
Una carriera in continuo crescendo, circondato da musicisti stellari o facendo tutto da solo, imbastendo tour magniloquenti o facendosi accompagnare da una band di illustri (e bravissimi) semi-sconosciuti: mattone dopo mattone, Neal ha costruito la sua fortuna artistica, la realizzazione di un progetto di vita che, da “One” in poi, ha permesso all’artista di raccontare l’uomo, e viceversa.
Tutto questo ci porta, in una sorta di flash forward musicale, ai giorni nostri, quando Neal decide di dare un seguito ed una conclusione a “Testimony”, l’album che, forse più di tutti, gli ha permesso di raccontare il suo cammino, musicale, artistico, spirituale, umano.
Musicalmente, T2 è la perfetta continuazione del primo capitolo, laddove un Neal tuttofare si serve della perizia dei fidi Mike Portnoy alla batteria e Randy George al basso, sobbarcandosi ogni e qualsivoglia ulteriore fardello artistico, dall’esecuzione al canto alla scrittura, e chi più ne ha più ne metta. Sapete esattamente cosa aspettarvi, dunque: prog-rock di rara fattura, momenti vocali che tanto rimandano ai primi Spock’s (si veda a tal proposito la song “
Time Changer”, in cui Neal riunisce la sua vecchia band per una sezione vocale a cappella da antoligia!), parti strumentali in grado di far brillare di luce propria i tre musicisti (ed i vari guests) coinvolti nel progetto, ed una sensazione di già sentito che, stavolta, non è un legame voluto con la prima parte, ma, secondo me, una sorta di ‘ridondanza artistica’ di Neal, che ormai compone con un trademark tanto riconoscibile quanto prevedibile. Un bene? Un male? Qui, com’è d’uopo, interviene il gusto soggettivo dell’ascoltatore. Una cosa è certa: il capitolo 2 ha tutto del suo predecessore, tranne l’effetto sorpresa, che poteva rendere un disco complesso ed elaborato come questo un vero capolavoro.
Com’era ovvio aspettarsi, vista la modalità compositiva e la gran mole di idee che il buon Neal sforna al secondo, il cd è corredato da un secondo dischetto, in cui fanno bella mostra di sé due brevi e godibilissime songs, ed una lunghissima suite, “
Seeds of Gold”, in cui 26 minuti di musica travolgente ed emozionante fanno da suggello monumentale ad un’opera estesa e ramificata come questa.
Nella conclusione a questa recensione, ritorno all’ascolto di “Testimony 2” per l’ennesima volta, e scopro, come sempre mi accade per albums come questo, tutta una serie di sotto-livelli che necessitano obbligatoriamente di tempo, pazienza, attenzione. Non è di certo l’album più ispirato o sorprendente di Neal; non ha l’oscura magniloquenza di “Sola Scriptura” o l’epica trama di “Snow”, ma di certo ha il sapore puro dell’onestà, della verità di un Artista che si offre al suo pubblico per quel che è, senza pretendere di essere accettato solo per il suo passato.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?