Quando esordirono, con “Dirty rotten filthy stinking rich”nel 1989, l’impressione era di aver a che fare con un gruppo piuttosto competente ma anche molto “costruito”, sotto la scaltra e facoltosa direzione del colosso CBS: bei “faccini”, fisici giusti, look vincente da party band e un pop metal in apparenza perfettamente programmato “solo” per istigare le
candide e
convulse pulsioni dei teenagers.
Poi arrivò "Cherry pie”, un passo avanti dal punto di vista musicale e la conferma che la “strategia” aveva funzionato alla grande, accrescendo il successo e il conto in banca di una formazione che comunque manteneva salda anche quella nomea (un po’
snobistica) di scarsa “genuinità” e di eccessiva leggerezza “adolescenziale”.
Interpretando i fatti con maggiore “oggettività”, i
Warrant erano invece dotati di possibilità artistiche superiori
perfino all’impatto frontale della loro “immagine” (un po’ come accadeva ai Nelson o, per certi versi, ai Poison, per fare qualche esempio) e tuttavia anche il cambio di rotta effettuato nel 1992 con “Dog eat dog” fu accolto come un’altra dimostrazione di opportunismo e non riuscì a convincere completamente né i vecchi fans né i simpatizzanti dei suoni più heavy e corposi, incapaci di accantonare i propri pregiudizi neanche di fronte ad un (altro) ottimo lavoro.
Tralasciamo la controversa produzione successiva e arriviamo alla reunion del 2006, con quel “Born again” troppo “prevedibile” per fare la differenza in un mercato ipersaturo come quello del terzo millennio, in cui l’ennesimo ritorno di un certo prestigio non rappresentava certo un motivo di particolare interesse.
Beh, a questo punto, direi che il nuovo “Rockaholic”, ed eccoci al soggetto di questa disamina, perlomeno non rischia di essere “frainteso”: l’età dei musicisti e il genere di musica proposta non sono esattamente adatti ad attrarre le
giovani folle e non si può nemmeno più tentare di sfruttare l’effetto “sorpresa” (si fa per dire!) di una riapparizione
improvvisa dopo una lunga assenza.
Ebbene, questo, signore e signori è, senza disquisizioni di sorta, un sontuoso disco di hard rock tipicamente
yankee, concepito con il giusto “dinamismo” ed equilibrio, suonato con grinta, convinzione e disinvoltura e cantato in maniera esemplare da un vocalist troppo bravo ed espressivo per preoccuparsi di confronti per altri praticamente proibitivi.
Robert Mason (Lynch Mob, Cry of Love), sostituto di Jaime St. James (dopo la breve parentesi, rientrato nei suoi Black ‘n Blue) e soprattutto di Jani Lane, appare davvero perfetto per i “nuovi” Warrant, la sua intonazione è di una bellezza naturalmente perentoria in ogni sfumatura e anche se sono sicuro che non mancheranno i “nostalgici” dello storico
trademark vocale dell’act californiano, il “rammarico” non ha proprio nessuna giustificazione tecnico-emozionale a sostegno.
Cinquantacinque minuti di dirompente godimento sensoriale, in cui vengono distillati rock duro, inflessioni metalliche, afrori blues e poi ancora il romanticismo, il divertimento, la sensualità, la forza traente e l’espressività istantanea di una musica sempre straordinariamente magnetica e coinvolgente a questi livelli d’intensità compositiva.
Ai discepoli di “lungo corso” dei Warrant consiglio un ascolto affrancato da eventuali condizionamenti
elegiaci … solo così troveranno le caratteristiche peculiari dei loro idoli proiettate in una dimensione “fresca” nonostante gli evidenti richiami agli eighties, mentre agli estimatori del genere meno esperti suggerisco di non incorrere nell’errore di considerarli soltanto una “navigata” band di
hair-metal in cerca di sensazioni “perdute”, sfruttando direttive di mercato propizie.
A tutti, poi, non posso fare a meno di raccomandare i vibranti tracciati tra Aerosmith e AC/DC di “Sex ain't love”, “Innocence gone” e “Candy man”, l’hard-blues attanagliante di “Snake” e “Dusty's revenge” (grandissimo pezzo!), le delizie sentimentali di “Home”, “What love can do” (molto vicino all’AOR), “Found forever” e “Tears in the city”, i ritmi sostenuti di “Show must go on” e di "The last straw” (non lontano proprio dai Lynch Mob) e pure i riff taglienti e il groove poderoso di “Cocaine freight train” e di "Sunshine”, dove le ombrosità armoniche si scontrano con la “ovvia” solarità del refrain.
Lasciamo per ultime le annotazioni relative a “Life's a song”, scelta per il primo clip del Cd … probabilmente non lo vedremo su MTV come ai “tempi belli” (c’è sempre Youtube ...) ma il video (con quel retrogusto alla “come eravamo”) è godibile e la costruzione melodica della canzone è di notevole qualità.
L’album soddisfa pienamente, non evidenzia cali di tensione significativi e ci riconsegna un’assoluta protagonista della scena attuale … difficile rimanere impassibili di fronte a tanta eccellenza, anche per chi aveva dei preconcetti (sempre che abbia “l’onestà intellettuale” di ammetterli) o per chi rimpiange ancora i Warrant “originali”.