Black ‘N Blue per il sottoscritto è sempre stato sinonimo di autostrade assolate, belle donne, divertimento, notti selvagge, esperienze intense da consumare velocemente senza preoccupazioni, la vera
essenza del rock n’ roll, insomma.
Un immaginario costruito su quattro studio-albums di notevole valore (la mia preferenza va al debutto del 1984, dove tra tante belle canzoni, emergeva una splendida rilettura di “Action” degli Sweet), al confine tra lo street e l’arena metal rock americano, quello che gente come Van Halen, Aerosmith, Starz, Kiss (Gene Simmons produsse tra l’altro “Nasty nasty” dell’86 e “In heat” dell’87) e Y & T, tra gli altri, hanno reso immortale.
Riuscirà la band di Portland a confermare questa “illusione” un po’
adolescenziale anche a distanza di più di vent’anni dalla sua ultima vera apparizione discografica con questa denominazione? E soprattutto saprà ancora proporre musica di grande spessore anche dopo la defezione di Tommy Thayer, ottimo chitarrista e principale (in società con il singer St. James) compositore dei
nero-blu, ormai occupato a tempo pieno nell’improbo compito di non far rimpiangere Ace Frehley?
Beh, la risposta è ardua almeno quanto la domanda e cerchiamo di dipanare la spinosa questione iniziando a dire che, almeno dal punto di vista esecutivo il “nuovo” Shawn Sonnenschein offre una prova inattaccabile, a supporto del “vecchio” Jeff "Woop" Warner, impegnato anche in un’irreprensibile produzione.
Jaime St. James, poi, è sempre un grande vocalist, e appare decisamente più a suo agio tra queste mura “domestiche” che non tra quelle pur prestigiose dei Warrant, dove ha brevemente prestato servizio (nel loro disco del “ritorno” “Born again” e nei relativi tour, evento che ha peraltro ritardato, insieme con alcune beghe contrattuali, l’uscita di questo disco, iniziato a registrare addirittura nel 2003!) con buon profitto personale, ma senza esaltare a livello di band.
Arrivati alle canzoni, la questione si complica, perché se il “nobile” sigillo del gruppo,
filtrato attraverso gli anni, è piuttosto evidente in buona parte del programma, altrove l’efficacia formale viene disinnescata da una stesura troppo superficiale e prevedibile, almeno per le possibilità e la storia di un piccolo “mostro sacro” come i Black ‘N Blue.
Si parte solo “benino” con “Monkey”, dotata di un bel tiro, ma un po’ troppo scontata, e lo stesso si può dire della “rigorosa” title-track, si migliora notevolmente con “Target” e con "Hail hail” anthems dirompenti, granitici e compatti, capaci di sfuggire alla banalità anche grazie a piccole gradevoli particolarità di arrangiamento, così come non dispiacciono per nulla il crescendo melodico di “Fool's bleed” e “Falling down” (con un pizzico di Who tra gli ingredienti) e il singolare trattamento
psichedelico-orientaleggiante applicato alla melodia emotiva e vaporosa di “World goes round”.
"So long” riesce ancora ad intrigare con le sue trame di glam-rock solare e disinvolto, mentre il resto del materiale si assesta su una di quelle forme di piacevolezza d’ascolto magari abbastanza
distinta eppure anche assolutamente
epidermica.
Un disco più che decoroso se giudicato evitando scomodi confronti con il passato, qualcosa di meno se, come si è sempre inevitabilmente portati a fare in questi casi, ci si aspetta, peccando un po’ di
naïveté, di recuperare intonse le antiche sensazioni di un tempo.
Il bentornato è d’obbligo, nella speranza che “Hell yeah!” sia il propedeutico tramite per un
nuovo corso, veramente convincente e appagante, del sanguigno ensamble americano.