RECENSIONE SCRITTA
I
Symphony X ci hanno abituati ad aspettare. Che ci piaccia o no, la band di
Michael Romeo e soci pubblica albums con una cadenza abbastanza ‘ampia’; non è quindi una sorpresa l’aver dovuto attendere ben quattro anni per ascoltare il successore del magnifico “
Paradise Lost”. Ma tant’è, la Nuclear Blast, nuova label della band, ha preparato il pacchetto dono, e così ecco, nelle mani di uno Sbranf eccitato come un bambino davanti al regalo di Natale, il nuovo “
Iconoclast”.
Partiamo dai dati tecnici: il cd verrà rilasciato fondamentalmente in due versioni: una a due cd, che la stessa band considera la versione ‘vera’ dell’album, ed una versione con un solo dischetto, che è poi quella tra le mie mani, in cui alcuni brani sono stati omessi, per creare un prodotto più facilmente fruibile e vendibile. La copertina e tutto l’artwork, anche stavolta, sono opera di quel
Warren Flanagan già al lavoro con Watchmen, X-Men ed altri impegni fumettistico-cinematografici, ed il tema eviscerato questa volta si rifà alle macchine, alla lotta tra l’uomo ed una tecnologia disumanizzante che rischia di renderlo solo un ingranaggio del sistema. È in realtà un tema già sviluppato dai S’X nella track “
Church of the Machine”, presente in “
Twilight in Olympus” del 1998, ma stavolta il sotto-concept permeerà l’intero lavoro, che pure un concept non è. Finite le premesse, entriamo nel vivo.
Nove i brani nella nostra versione, ed il tutto si apre con la title-track, lunga song di quasi 11 minuti, che setta il mood dell’intero lavoro: power/prog nel più puro stile Symphony X, il divino
Russell Allen sempre più spostato verso uno stile rude ed aggressivo, ma senza perdere un’oncia della sua potenza o estensione, un ottimo lavoro di tastiere che, oltre a sostenere le basi ritmiche di Romeo, Rullo e LePond, arricchiscono l’intero album di suoni meccanici, tecnologici, che richiamano alla mente il concept di base precedentemente enunciato. Seguiranno, a ruota, una manciata di songs una più potente ed aggressiva dell’altra: dai due ‘singoli’ “
The End of Innocence” e “
Dehumanized”, già proposti per il pre-ascolto e già presentati in sede live anche in Italia, a potenti mazzate come
“Bastards of the Machine”, “
Heretic” e “
Electric Messiah”, è tutta una sarabanda tra il ‘potente’ ed il ‘potentissimo’, con pochissimi cali di tensione o cambi di atmosfera. La spiegazione ce l’ha data lo stesso Romeo
nell’intervista testé realizzata: il tema delle macchine disumanizzanti ha spostato il campo di gioco verso suoni ed arrangiamenti molto tirati e spietati, riducendo ovviamente lo spazio per momenti dolci o romantici. Ma non disperate, amanti dei Symphony X più coccolosi: l’ultima “
When all is Lost” si concede un’atmosfera più sofferta e slow, seppur definirla una ballad, come fece Mike nell’intervista, mi sembra un filo azzardato!
Nel mezzo, non citati, brani complicati ed intricati, in cui mi saltano subito all’orecchio un paio di considerazioni meramente tecniche:
- Finalmente molto ben udibile il basso di
Mike LePond, che in più di un’occasione si prende il permesso di uscire dal pattern ritmico per dipingere veloci ma micidiali pennellate di note;
- Michael Romeo mantiene i suoi sacri spazi per i solos, dove però comincia ad osare un pelo in più con l’effettistica: stavolta sentirete, in più di un solo, un uso magistrale del whammy, effetto quasi mai usato da Mike, che ha una resa dinamica decisamente interessante;
- Ascoltando con attenzione “Iconoclast”, noterete l’incredibile e certosino lavoro di
Jason Rullo, batterista spesso sottovalutato. Qui, Jason ci regala scansioni ritmiche complicate, in cui ogni battuta ha un preciso schema di cassa-rullante, sempre diverso e mai scontato, anche nelle parti in 4/4, laddove la band potrebbe solo accompagnare la strofa ed il riff portante.
Insomma, l’ennesimo disco articolato, complesso, affascinante e non immediato dei Symphony X. È certamente la non-immediatezza di “Iconoclast” l’unico, vero neo di quest’album, ed è proprio questa prima reazione all’ascolto che mi ha fatto molto riflettere. Laddove “Paradise Lost” o “
The Odyssey” si schiudevano al primo giro, calando subito gli assi, qui la partita è giocata su un livello più sottile: mai come in passato, “
Iconoclast” ha bisogno di tempo per essere effettivamente fruito appieno. Non vi nascondo che sono partito da una sensazione di mezza delusione, e che questa sensazione ha lentamente, ma costantemente virato verso un’ammirazione per il lavoro di arrangiamento di quest’album: i pezzi, a mio avviso, non hanno la potenza espressiva a cui la band ci aveva abituato, le linee vocali non fanno gridare al miracolo, ma il tutto è sicuramente stato compensato con un lavoro mostruoso in fase di arrangiamento, mostruoso e (fortunatamente) ben riuscito. Non siamo di fronte al nuovo capolavoro dei Symphony X, ma di certo abbiamo un’ora e passa di interessantissimo, virtuosistico, potente power/progressive metal da ascoltare. I maestri sono tornati, ma stavolta sarà il vostro atto di fede a permettervi l’ingresso in questo reame strano, oscuro, meccanico e contorto che risponde al nome di “Iconoclast”.
RECENSIONE ORALE