Il disco che non ti aspetti dai
Cruachan.
O meglio, il disco in cui, seppur preannunciato, non avresti mai sperato.
Ricapitolando per i più distratti, i Cruachan provengono dall'Irlanda, Dublino per la precisione, e da sempre hanno un modo unico di affascinare e conquistare l'ascoltatore grazie all'unione di elementi pagan, folk, metal (a tratti black) il tutto in chiave ovviamente celtica, come la loro origine lascia presagire.
Mi innamorai di questa band nell'ormai lontano 2002, con lo storico e spettacolare "
Folk-Lore", andando a ritroso nel tempo verso i primi "
Tuatha Na Gael" e specialmente "
The Middle Kingdom", prima di distaccarmene un po' a causa delle semi delusioni dovute a "
Pagan" e "
The Morrigan's Call", due lavori non certo brutti ma che comunque non riuscirono a ripetere quanto di buono fatto in passato.
Adesso, dopo quasi 6 anni di assenza dalle scene, un importante cambio di label (approdati all'ottima
Candlelight) e, specialmente, con la forzata dipartita della bellissima e bravissima
Karen Gilligan, praticamente cacciata dall'accoppiata storica
John Clohessy e
Keith Fay, veri leader della band, approdiamo al nuovo "
Blood on the Black Robe" che senza paura di smentita non esitiamo a definire il miglior ritorno che potessimo attenderci dal quintetto celtico.
Indubbiamente, come l'uscita di scena della Gilligan faceva presupporre, le sonorità dei Cruachan si sono nettamente appesantite, lasciando da parte tutti quei momenti maggiormente melodici ed acustici di cui la musica della band, o durante i brani stessi o tra un interludio e l'altro, era piena: il palco va adesso interamente all'ugola abrasiva di Fay che comunque è una garanzia in questo senso, donando al pagan metal dei Cruachan una tinta quasi oscura, malevole, che come tanti anni fa va a sfiorare momenti black metal, e come esempio basti ascoltare l'impetuosa "
Primeval Odium".
Certamente non è scemata la componente folk, perfettamente incastonata nelle melodie stesse, ora a conferire forza e violenza ai brani, ora a donare dolcezza e quiete proprie delle verdi distese irlandesi che possiamo immaginare semplicemente chiudendo gli occhi, grazie all'uso sagace di violini, cornamuse e flauti degli altri due John (ce ne sono ben 3 in line-up!), ovvero
John O'Fathaigh e
John Ryan Will.
La female-sung "
The Voyage of Bran", così come "
I Am Warrior", posta in apertura ed una delle migliori di tutto il disco, l'epicissima "
Thy Kingdome Gone", "
Pagan Hate" e la conclusiva "
The Nine Year War", al pari della splendida title track, ci regala un album davvero inaspettato e sorprendente, seppure in una veste più aggressiva e meno sognante rispetto al passato, ma se questi sono i risultati avanti così.
D'obbligo per chi rimpiange i migliori
Skyclad e chi idolatra gli ottimi
Primordial.
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