La
storia dei
Red Velvet Line racconta di un passato
gothic-metal, di passioni per il
pop-rock, l’
heavy ottantiano e per il
rock moderno, ed, in effetti, è abbastanza agevole rintracciare nel loro primo albo autoprodotto “The stars are falling”, un po’ di tutti questi differenti “mondi” musicali.
Va detto che i nostri non “inventano” nulla, ma anche che non subiscono smodatamente le loro influenze (direi qualcosa tra Lacuna Coil, Guano Apes, Foo Fighters e … la NWOBHM!), riuscendo ad amalgamarle in modo da dare vita ad un sound “riconoscibile” eppure capace di allontanare in maniera piuttosto risoluta l’alone di
déjà entendu e di stantio che spesso contraddistingue il genere.
Una rilevante freschezza compositiva, appare, così, come la vera “arma segreta” del gruppo, la quale addizionata ad una perizia esecutiva esente da pecche e da una voce, quella di Sue, assai espressiva e sufficientemente duttile (con piacevoli sfumature
a-la Chrissie Hynde, sentitela, per referenze, nella
semi-ballad “The light I've seen in your eyes”!), configura il dischetto come un buon esempio di
alternative rock dalla muscolatura agile e flessibile, che alterna e miscela gli ingredienti avendo ben chiaro l’obiettivo primario di ogni band emergente di valore: esprimere qualità e sentimenti attraverso la propria
educazione musicale, senza per questo perseguire una forma d’improduttiva emulazione.
Piacciono le evoluzioni chitarristiche spesso esplicitamente “metalliche”, attrae il brillante gusto melodico, soddisfa la verve e la convinzione intrinseca apprezzabile in pezzi, che, alla fine, risultano tutti abbastanza godibili, mentre tocca a “Tonight”, alla
title-track, a ”Angel” e alla volubile costruzione di “Cursed” (le chitarre hanno, a tratti, addirittura un vago sentore Tsamis-
iano!), conquistare l’
ambita palma di tracce preferite nelle valutazioni del sottoscritto.
Meno convincente, a mio modo di vedere, si manifesta la rilettura
accelerata di “Maniac” (di Michael Sembello, inclusa nella colonna sonora di “Flashdance”), una scelta forse eccessivamente “gigiona” e convenzionale, oltre che una trascrizione non troppo incisiva dal punto di vista artistico.
Una pregevole veste grafica e una registrazione professionale costituiscono le ultime annotazioni “tecniche” su un disco che scorre piuttosto gradevolmente, realizzato da un gruppo di “belle speranze”, orientato nella giusta direzione allo scopo di lasciare un segno ancora più netto e personale del suo passaggio nella
boccheggiante e
affollata scena
alternativa attuale.
Ne sentiremo parlare ancora sicuramente.
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