Che due palle.
Non esiste altro modo per definire "
Guardian at the Gate", terzo disco degli americani
Arctic Flame, secondo per Pure Steel Records, che già avevano poco convinto con i precedenti "
Primeval Aggressor" e "
Declaration". Ma non paghi, arrivano addirittura a sfornare il terzo, (in)dimenticabile disco.
E in tutta onestà non penso nemmeno valga la pena di perderci troppo tempo. Gli
Arctic Flame propongono un heavy metal di chiaro stampo ottantiano, scopiazzando un po' qua e un po' la, dagli
Iron Maiden ai
Mercyful Fate, passando per qualcosina dei
Manowar. Il problema è che sono come quei compagni di banco sfigati, che riescono a copiare solo l'unica risposta sbagliata del secchione di turno.
Come già per gli altri due dischi, il ritornello si ripete anche su questo: noia allo stato puro. Tecnicamente risibili, gli assoli di chitarra sono di infimo livello e facilmente evitabili, il resto della band non merita nemmeno una particolare citazione. Per non parlare del vocalist, uno dei peggiori sentiti sulla piazza, senza voce e a volte addirittura stonato. Già dopo 4 canzoni mi chiedevo come facessero ad avere un contratto e ad aver aperto concerti per band di livello come
Helloween e
Gamma Ray..evidentemente qualcuno qui sa tirare le giuste corde.
Non ci sono idee, e quelle poche che ci sono vengono sviluppate davvero in maniera pessima. Quando poi si cerca di copiare in maniera spudorata, vedi "
The Creeper", si scade addirittura nel ridicolo.
Nel calderone, si salvano solo la strumentale "
Falkenfels", vagamente epica nel suo incedere e, in quanto strumentale, priva della fastidiosa voce di
Michael Clayton Moore, e "
A Wailing at Glenn Corr", che almeno presenta una struttura chiara e semplice, senza strafare ma ovviamente senza nemmeno entusiasmare.
In conclusione un album da evitare come la peste, anche da parte dei piu arditi fan del metal old school. Dopo aver recensito il mese scorso il capolavoro degli
In Solitude, "The World, The Flesh, The Devil" mi trovo ancora piu spiazzato e sconcertato nel dover recensire un disco di così basso livello. Finisco come avevo cominciato.
Che due palle.
Quoth the Raven, Nevermore..
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