Il mercato è saturo di ristampe? Vero. La riscoperta di “vecchie” glorie, più o meno celebri, è diventata una
comoda consuetudine? Indubitabile. Queste scelte strategiche dell’attuale discografia finiscono per limitare le possibilità d’emersione dei “giovani talenti”? Beh, qui la questione è più complessa e meriterebbe un’analisi ampia prima di arrivare ad una risposta “conclusiva”, ma diciamo che le probabilità che si preferisca sostenere un nome dotato di un certo curriculum piuttosto che un “illustre sconosciuto”, sono abbastanza fondate.
Se, però, tutta questa situazione, in qualche modo, è propedeutica al ritorno alla “vita artistica” di un gruppo come quello dei britannici
Airrace, posso tranquillamente affermare senza imbarazzo che ogni eventuale
critica nei confronti del
business del disco finisce per passare in secondo piano.
Del resto, stiamo parlando di una band dalla popolarità davvero
fugace, nonostante la presenza in
line-up di Jason Bonham e la realizzazione di un
debut-album, “Shaft of light” (del 1984), prodotto dal noto Beau Hill, dagli effetti emotivi piuttosto
fulminanti, uno di quei prodotti capaci di contrastare efficacemente lo strapotere americano in fatto di
hard melodico.
Riformatisi nel 2009, in occasione del venticinquesimo anno dall’uscita di quel disco (celebrato con una doverosa e ricca riedizione) gli inglesi arrivano ora al tanto agognato secondo lavoro con una formazione leggermente rimaneggiata (senza Bonham e priva del tastierista Toby Sadler, altro
former member ora residente in Germania e impossibilitato a garantire un apporto continuo al progetto), ma con le redini della questione ancora saldamente nelle sapienti “mani vocali” di Mr. Keith Murrell, cantante sopraffino per estensione e capacità interpretative (approssimativamente, un incrocio tra Tony Mills, Lou Gramm e Steve Perry … non a caso di recente è stato gratificato dalla ventesima posizione nella “
Top 40 AOR Vocalists Of All Time” istituita dalla sezione specifica della rivista
Classic Rock). E’ lui il dominatore di “Back to the start” e tuttavia senza un adeguato supporto esecutivo e compositivo nemmeno la sua raffinata laringe avrebbe potuto rendere così piacevole un
platter che ricorda inevitabilmente il passato della band (lo stesso titolo è una sorta di manifesto programmatico) ma lo fa con un’energia e una vitalità assai appassionanti.
Ed ecco che entrano in gioco le chitarre ficcanti e sofisticate di Mansworth e del “nuovo” Dean Howard (T'Pau), le tastiere colorate di Chris Williams, la diligente sezione ritmica Reid / Dawson e una dozzina di canzoni di notevole qualità, rispettose dei “sacri crismi” del genere eppure fresche e di sicuro fascino.
“Keep on going” e "When baby” hanno la “forza” per sfidare i Journey senza venire travolte da un confronto così improbo, "Call me anytime” e "So long” ammiccano a Survivor e Toto con buongusto e misura, "Wrong way out”, “One step ahead”, "Enough of your loving” e “Better believe it” scuotono gli animi con il vigore di sfumature
hard-blues, mentre l’
attrazione fatale è riservata a "Two of a kind”, alla
title-track e alla appena inferiore “What more do you want from me”, momenti in cui la suggestiva ampiezza armonica costringe fatalmente alla sollecita reiterazione dell’ascolto.
Gli Airrace hanno realizzato un altro gran bel disco, che quasi certamente con una produzione migliore (i suoni sembrano un po’ impastati, con poco equilibrio tra la voce, prevalente, e gli altri strumenti) sarebbe potuto risultare ancora più efficace … non sono probabilmente quegli
inarrivabili “oscuri” fuoriclasse dell’
AOR che qualcuno ci vorrebbe far credere, ma meritavano indiscutibilmente una seconda opportunità … l’hanno saputa sfruttare al meglio.