Cambiano, i
Martiria.
Innanzi tutto etichetta, passando dall’Underground Symphony alla My Graveyard Productions, e poi qualcosa pure nelle prospettive stilistiche, che oggi li porta ad enfatizzare in maniera più evidente la componente oscura della loro straordinaria proposta musicale, recuperando, così, l’approccio sostenuto durante gli esordi assoluti del gruppo.
Quello che non cambia è il risultato, quasi a voler tener fede ad una sorta di
proprietà transitiva applicata alle forme d’arte, per la quale, quando i protagonisti della situazione sono autentici
fuoriclasse, anche mutando l’ordine dei fattori, l’effetto non può che essere una suggestione emotiva talmente prepotente da rimanerne davvero soggiogati.
Del resto, stiamo parlando di due label italiane note per la loro passione e professionalità e di una delle formazioni più abili nello sprigionare tutta la sua
drammatica carica espressiva, per cui, francamente, anche quell’eventuale pizzico di “ansia” che quasi fatalmente si accompagna a tutte le fasi di “rinnovamento”, in questo caso non poteva rappresentare una vera preoccupazione.
“On the way back” è, dunque, ancora una volta, un albo eccezionale, profondamente intriso della personalità tipica della band romana, marchiato da una prova vocale davvero enorme per intensità e passionalità e musicalmente così variegato da “sembrare” più complesso dei suoi illustri predecessori, ma che, una volta entrati in sintonia, non consentirà tanto facilmente una “comoda” sostituzione nel "piatto" del vostro lettore Cd.
Lo “spostamento” verso visioni maggiormente cupe e introspettive non ha, come anticipato, per nulla limitato le strepitose capacità immaginifiche e comunicative del gruppo grazie soprattutto ad una “rarità” come Richard Martin Anderson, un magistrale narratore delle emozioni che qui, se possibile, accentua ulteriormente le possibilità empatiche che il buon Dio ha generosamente elargito alla sua laringe (attraverso una prova da utilizzare come modello per quei cantanti che basano tutto sull’estensione!), e grazie ad un musicista sopraffino come Andrea "Menario" Menarini, del tutto disinteressato a “soffocare” l’astante con una cortina di sonorità forzatamente opprimenti e distorte o di replicare acriticamente riff consunti (soluzioni sempre abbastanza frequentate nel settore) … la sua creatività e la sua sensibilità lo portano, invece, a scandire fraseggi e linee melodiche sempre “ad ampio respiro”, anche nei frangenti più drammatici e funesti, ad alternare sapientemente pause e progressioni, dilatando e ampliando il tutto attraverso l’uso sagace delle tastiere (che conservano, a tratti, un vago retrogusto deliziosamente Kornarens-
iano) e un’inserzione davvero preziosa dei segmenti acustici.
Aggiungete una sezione ritmica veramente impeccabile (plauso particolare va al drummer Umberto Spiniello, un’altra “novità”, tra l’altro … visto di recente anche negli Stamina) e otterrete l’ennesimo capolavoro dei Martiria, in un universo ricco di passione e di dolore, di estasi e di sogno, di magia e di spiritualità, di tristi presagi e, infine, di morte … una cosmogonia di sentimenti innati e di ancestrali forze magnetiche, spesso inspiegabili, da cui proprio non si può fuggire.
“Drought”, “Apocalypse”, “Ashes to ashes” (un gioiellino di volubile tensione sensoriale, gratificato da un enfatico refrain), “The Sower”, la già nota “Gilgamesh”, la vibrante litania “The slaughter of the guilties” e l’inquietudine commovente di “You brought me sorrow” (azzardando un po’, una sorta di Pink Floyd
meets Candlemass), sono solo alcune delle situazioni da rimarcare per un lavoro che pur meritando un’ampia trattazione per ogni singolo episodio, vive, come di consueto tra le mura di questo brumoso maniero capitolino, sull’impeto di un’ispirazione “globale”, in grado, tra l’altro, di svelare continue sfumature inedite, anche dopo un elevatissimo numero di ascolti.
Ora la speranza è che, in tempi spesso inutilmente frenetici, di musica “usa & getta”, in cui è troppo frequente veder “gratificare” il “trend” a discapito del talento autentico, quello dei Martiria abbia il medesimo appeal, tra i cultori del
doom / epic-metal, dei nomi più importanti del genere, un ruolo che hanno costruito con tre lavori in crescendo e che oggi consolidano con questo “On the way back”.