Dall’artwork del loro primo lavoro (bello e curato, tra l’altro) potrebbero sembrare un gruppo
gothic, ma bastano pochi minuti di “Lost inside myself” per capire che la passione dei nostrani
Aaron's Agony in realtà è il
metal-core di stampo americano (quello più “modaiolo” e “accessibile”, in particolare), infarcito di appena un pizzico di bagliori d’estrazione
emo.
I nomi di riferimento da citare sono, dunque, A Day To Remember e Atreyu (e non è un caso che il disco sia stato masterizzato da Alan Douches, già collaboratore proprio di queste bands) assieme a Bring Me The Horizon e Avenged Sevenfold, tutta gente nota per saper coniugare elementi melodici orecchiabili con strutture esplicitamente heavy, condite da screaming potenti ed efferati.
Ebbene, dove i succitati campioni del genere riescono a conquistare per forza, intraprendenza e una notevole sagacia nel songwriting, in grado di sopperire alla mancanza di una vera originalità, il quintetto savonese finisce per smarrirsi in un tentativo abbastanza sterile di replicare quella formula così vincente, proponendo brani tutti molto simili e comunque davvero troppo statici, senza riuscire praticamente mai ad illuminare la sua prestazione con una scintilla di autentica ispirazione.
Linee vocali poco efficaci e abbastanza inespressive in tutte le diverse forme espositive (
scream,
growl, break in
clean vocals) non forniscono, poi, il necessario apporto “energico - emotivo”, svilendo ulteriormente gli sforzi delle chitarre disperatamente impegnate nel cercare di sviluppare armonizzazioni convincenti.
Non dispiacciono, invece, le scorie di
punk-rock che i nostri inseriscono sporadicamente nelle composizioni, ma nemmeno quest’aspetto si dimostra davvero utile a mantenere alta l’attenzione, dissoltasi velocemente fin dalla prima sessione d’ascolto.
Tra i pezzi capaci di qualche spunto interessante, si segnalano “We are back”,
anthem dai risvolti “commerciali”, gratificato da un gradevole finale pianistico e “Another sick story”, una specie di
punk-core di discreto valore, mentre “Is it the real beginnin’?” e “A second chance” sono probabilmente i momenti migliori tra quelli più fedeli ai dogmi “classici” del settore di riferimento.
Inventiva e coordinamento vocale rappresentano, quindi, i temi prioritari da perfezionare e anche se l’eccellenza è piuttosto lontana e il lavoro si prospetta impegnativo, vista la giovane età della band, la speranza di una maturazione capace di rendere gli Aaron's Agony veramente degni dei loro modelli non è utopistica.
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