Con i foggiani
Stonewall il soggetto musicale fondamentale da affrontare è quello dell’heavy metal “classico”.
Niente di “nuovo”, dunque, anche perché parliamo di un linguaggio sonoro il cui recupero “storico” è ultimamente piuttosto apprezzato dal mercato discografico e dalle fasce più giovani dei
metalofili.
“Roba” spesso impeccabile da un punto di vista “formale”e tuttavia poi molte volte limitata da una fastidiosa patina di preconfezionato e artificioso che accosta il quadro complessivo ad una forma, per quanto magari pure piacevole, d’improduttiva parodia.
A volte, però, lo spirito più autentico del genere decide d’incarnarsi in qualche band a cui trasferire tutta la sua
incrollabile forza espressiva, dimostrando che con il
feeling giusto si possono reinventare o quantomeno restaurare le tradizionali matrici stilistiche del settore, trattando la materia come qualcosa da “vivere” fino in fondo nel “presente” e non come si trattasse di una sorta di
scientifica trascrizione celebrativa del “passato”.
Ed ecco perché “Victims of evil” suona credibile e sincero, aspetti che assieme ad una buona dotazione tecnica collettiva e ad una notevole abilità compositiva lo rendono un prodotto veramente godibile, un pregevole epigono dell’immarcescibile scuola metallica più rigorosa, quella edificata sui riff scolpiti nella roccia, sui solos e sui fraseggi serrati e ficcanti, sulle cadenze imponenti e tumultuose, il tutto armonizzato da un’imprescindibile sensibilità melodica.
Metal Church, Malice, Hexx, Fifth Angel, Riot, Vicious Rumors, i Savatage meno “sinfonici”, senza dimenticare i grandi maestri inglesi (Maiden, Sabs, Judas, …), sono i nomi di “riferimento”, ma anche di fronte all’evidente insegnamento di cotante celebrità gli Stonewall riescono a conservare (quasi sempre) un’avvincente espressività, illustrata al meglio da una perentoria
title-track, saettante modello di coinvolgente traduzione dei “testi sacri”.
“Dark revelations” prosegue sulla stessa brillante falsariga e consolida l’impressione di un gruppo privo di “fenomeni” eppure talmente compatto e affiatato da risultare una vera “macchina da guerra”, mentre tocca all’ambientazione plumbea di “War of the worlds” evocare sinistri presagi ed epiche battaglie.
“No more fear” aggiunge al dominante influsso ispirativo
yankee un vibrante contributo teutonico, “Feel my blade” martella a dovere e colpisce con un bel
guitar-solo, “Fight to survive” si accosta al
class-metal californiano con apprezzabile idoneità vocazionale e in "We can change the world” si tenta addirittura una soluzione non troppo lontana dalle velleità tipiche della
power ballad, conseguendo risultati assolutamente onorevoli.
Un’appassionata cover di “F.T.W. (Follow the wheel)” dei campioni canadesi Sword (apriva il loro disco di debutto “Metalized”, veramente splendido, così come il suo successore “Sweet dreams” … materiale imprescindibile in ogni collezione metallica che si rispetti!), realizzata con il contributo degli
special guest Guido Tiberi (degli Axevyper, autore anche della grafica piacevolmente
naif del Cd) e Renato Chiccoli (degli Asgard), assesta l’ultimo bel colpo di un albo totalmente “nostalgico” (compresa la registrazione, equilibrata ma di certo non “esplosiva” come tante produzioni odierne), intendendo questa definizione al netto di ogni eventuale connotazione
negativa e volendo sottolineare la sua completa consacrazione ad una “causa” talmente importante e sentita da non poter in alcun modo essere minata da una faccenda
trascurabile come il trascorrere (ahimè) inesorabile del tempo.