Intro di routine...
...poi Pagan e Folk Metal, per quanto meno danzereccio e festaiolo del solito, pure questo di routine!Già, al loro terzo album, gli
Svartsot non sembrano essere in grado di andare oltre la
solita formuletta.
Così, lasciate scorrere "Staden..." (la già citata introduzione), una monolitica ma noiosa "Gud Giv Det Varer Ved!" e la più veloce, ma non per questo con chissà quali spunti di interesse in più, "Dødedansen", il compito di catalizzare l'attenzione spetta a "Farsoten Kom", sia per quei cori pirateschi che vi fanno capolino, sia perchè finalmente la chitarra di Cris J.S. Frederiksen (l'unico membro originale rimasto in formazione) cambia
finalmente riff.
E' sempre evidente come gli Svartsot continuino a prediligere un approccio maggiormente estremo, vicino a soluzioni Death e Black, rispetto a quello di molte delle formazioni che battono analoghi sentieri.
L'inizio di "Holdt Ned Af En Tjørn", con le sue cornamusa, ricorda molto da vicino gli In Extremo, anche se poi il vocione di Thor Bager ci riporta alla dura ed
heavy verità, dove gli Svartsot pestano con decisione su un altro pezzo ben riuscito, con il polistrumentista Hans-Jorgen Hansen che continua a fare la parte del leone nell'economia del suono della band.
La canzone che si stacca maggiormente dalla piega presa dall'album è invece la triste "Spigrene", giocata su larghi squarci acustici e clean vocals.
Così tra alti e bassi, brani possenti ma statici, "Maledictus Eris", un concept album sull'epidemia di peste che toccò la Danimarca del XIV secolo, si snoda per tre quarti d'ora non particolarmente coinvolgenti, anche se pure agli Svartsot non mancheranno i propri estimatori.
Well, its a dirty job but someone's gotta do it
And it's a dirty review but someone's gotta write it ...
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