Immaginate un sorprendente
trait d'union tra il folk inglese (Fairport Convention, Pentangle, …) e la
roots music statunitense (Neil Young, Bob Dylan, Johnny Cash, …), aggiungete un velo delle “Murder ballads” di Nick Cave o un leggero drappo del velluto notturno e corrotto dei Velvet Underground e poi provate ad immergerli in un’ambientazione
indie-rock, ottenendo una formula espressiva elettroacustica in cui melodie
antiche diventano atmosfere
realistiche di un universo popolato di
losers, tra
lap dancers che prima di tutto sono madri, balordi incapaci di cambiare la propria natura, dj metropolitani alle prese con un mondo annoiato, tutta gente che ha visto i suoi sogni irrimediabilmente infranti e che si trova a riflettere sulla sua tormentata esistenza, in cui l’atto estremo, rappresentato (idealmente?) dalla rapina appunto, sembra essere una delle poche soluzioni possibili.
Otterrete un disco, questo “Days before the robbery”, nel suo genere, pressoché perfetto, che sfrutta l’andamento dominante della ballata, bucolica, languida o maggiormente volitiva, ma sempre ispirata e magnetica, per elargire le sue storie musicali grondanti di passione, smarrimento ed inquietudine, narrate con trasporto e profondo lirismo, raggiungendo vette di viscerale spiritualità espressiva.
Artefici di tanta opulenza emotiva sono i
Dogs In A Flat, gruppo veneto alla seconda prova sulla lunga distanza, che con le sue intense architetture, colpisce nel profondo attraverso una scrittura semplice ed efficace, capace di conquistare sia gli estimatori dei generi autoctoni da cui attinge, sia attrarre gli appassionati delle più recenti tendenze
indie-folk (Red House Painters, Radar Bros., The Walkabouts, 16 Horsepower / Wovenhand, Willard Grant Conspiracy, …).
Come accennato, in primo piano, in tale situazione ci finiscono inevitabilmente le voci, cariche di sfumature e di prepotenti connotati emozionali, in una suggestiva alternanza ed intreccio maschile / femminile, ma anche le chitarre (acustiche o elettriche), il violino della bravissima Federica Capra e una discreta sezione ritmica forniscono un apporto fondamentale, assecondando con grande sensibilità il tono sempre vibrante delle composizioni.
Difficile scegliere un brano che rappresenti meglio di altri l’essenza della band, ancora più arduo escludere qualcuno dei fascinosi momenti contenuti nell’albo e anche se il mio
ego da scribacchino ne esce un po’ ridimensionato, trovo davvero impossibile aggiungere qualche altra considerazione veramente utile alla sua caratterizzazione.
Il ruolo che i Dogs In A Flat interpretano nell’odierno panorama musicale, però, è chiarissimo: una fenomenale
folk-rock band per il terzo millennio.
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