Ah ah ah, che simpatici i
Chickenfoot: fanno il secondo disco e lo chiamano “
III”, forse perché era talmente buono che almeno valeva per tre! Cavoli, ma dev’essere un discone! Allora, fortunato estratto in redazione, mi fiondo sul nuovo lavoro di Satriani e soci, curioso come un gatto, per sentire questo nuovo piccolo capolavoro hard rock da parte di quattro mostri sacri del genere. E dunque?
Bah (auto-cit.).
“III” è l’emblema dell’album
ruffiano: laddove il suo predecessore sfornava brani carichi, riffosi il giusto e pieni di quella incredibile voglia di suonare assieme, che era l’unica motivazione convincente per quattro stra-ricchi idoli del rock, il qui presente secondo capitolo è una astuta mossa commerciale, studiata per bene in modo da tenere alta la bandiera dei Chickenfoot e continuare l’approvvigionamento monetario dei ‘
new fab four’, senza sudare poi più di tanto. Dieci brani ed una bonus che piaciucchiano, suonano “Chickenfoot” ed è già tanto, ma ti lasciano, come dire, così. Niente. Bellini, per carità, e non parliamo di prestazioni singole, perché qui il più scarso potrebbe fare un disco scoreggiando, e tutti giù ad osannare. Ma lo senti nelle linee vocali del Rosso: quando cominci ad infarcire un po’ troppo di “
uuuh” “
yeeeah”, “
baby baby” e compagnia danzante, che manco Coverdale, significa che c’è poco arrosto, e un bel po’ di fumo fatto per il verso ci sta a pennello. Molta fuffa insomma, e qualche brano degno del nome che porta, come il bel refrain di “
Alright Alright” o la muscolosa “
Up Next”, oppure ancora il bel blues elettrico di “
Dubai Blues” (certo, mica potevano fare “
Marina di Ravenna Blues”, come minimo Dubai!). Toccante l’apertura ‘sociale’ in “
Three and a Half Letters”, in cui Sammy recita su lettere (vere o presunte) scritte da poveri cittadini americani che non riescono ad arrivare a fine mese, ma non suona un pò di cattivo gusto, se cantata e suonata da dei multi-milionari? Anche il singolo “
Bigfoot” non ha il tiro dei brani del debut, e lo spazio di Satriani inevitabilmente si allarga, spostando il tiro sugli effetti e saturandone buona parte della prestazione, che comunque in fase di missaggio avrebbe potuto usufruire di un lavoro migliore sulla pasta sonora delle chitarre ritmiche e del basso, un po’ mosci in uscita.
Totale: “
III” è un disco di mestiere, fatto da gente che di mestiere ne sa davvero, ma davvero tanto, per cui va dove deve andare. Adesso tutti i media del mondo non parleranno d’altro per i prossimi mesi, ma guardiamoci in faccia: se non sapessi chi suona nei Chickenfoot, che ne penseresti?