Mi rendo conto che lo sforzo d’immaginazione è abbastanza impegnativo, ma se riuscite a pensare ad uno, per quanto spericolato,
trait d’union tra Kansas (quelli più “drammatici” e “adulti”, in particolare …), REM, Porcupine Tree, Marillion, i lavori solisti di Kip Winger, gli ultimi Pink Floyd e Peter Gabriel, a cui aggiungere uno spiccato e altrettanto sghembo
sense of humor, non sarete troppo lontani dalle sembianze artistiche di questi
41Point9, enigmatica sigla che cela l’ennesimo
supergruppo del nostro sempre più affollato rock-rama.
Bob Madsen (Enchant, Xen), Brian Cline (Enchant), il meno noto Kenny Steel, coadiuvati da celebrità dei tamburi del calibro di Nick D'Virgilio, Jimmy Keegan (entrambi di fama Spock’s Beard) e Dave Weckl (George Benson, Chick Corea, Mike Stern, …), alimentati da una bizzarra teoria
scientifico-filosofica che coinvolge gatti, toast imburrati e flussi gravitazionali (denominata
Feline Butterology ed esplicitata con tanto di formula matematica!), ci propongono, con questo “Still looking for the answers”, la loro particolare visione del lato
pop del
prog-rock, in un’operazione che può ricordare, nelle intenzioni, le strategie concettuali di Asia, GTR e Saga, declinata nelle propensioni attuali della musica “commerciale” e con un minore, è bene sottolinearlo, coefficiente di penetrazione “catalizzante”.
Il risultato, se visto nell’ottica dei suoi verosimili propositi, è abbastanza
incerto, in quanto le melodie, per quanto gradevoli e curate, non riescono quasi mai a calamitare l’attenzione fin dal primo ascolto, laddove la tipica irrequietezza del
progressive si limita a sporadiche manifestazioni.
Il rischio, dunque, è quello di faticare a trovare un “pubblico di riferimento” e questo, se da un lato depone a favore della spontaneità dell’operazione, dall’altro alimenta qualche dubbio sull’effettiva capacità del gruppo nel trattare adeguatamente una materia così ambiziosa e problematica.
Accantonata la questione di quanto sia difficile far collidere fruibilità e creatività, non resta che godere dei momenti migliori dell’albo, in cui i 41Point9 si avvicinano parecchio al conseguimento pieno del delicato equilibrio: “Living in hard times” (anche se non mi convince del tutto l’afflato sinfonico, eccessivamente lezioso, conferito al brano …), “Building blocks”, l’epica "One is a bar” e la bella
title-track sono suggestivi spaccati di fascinosa rarefazione e intensità sonica, seguiti a breve distanza, negli effetti sensoriali, da “The feather”, appena meno efficace, mentre tocca alle angolosità estetiche e alle pulsazioni ritmiche della partitura strumentale “Surface tension” (con un pizzico dei King Crimson più “percussivi” nell’impasto) ricordare agli ascoltatori l’estrazione primaria di questi straordinari musicisti.
Concludo la disamina aggiungendo una notazione critica per “Promise the moon”, che tenta la carta della ballata romantica dalle velleità da
hit single con esiti opinabili e consegnando al lettore tutte le perplessità per un progetto molto interessante eppure
frammentario, come se le
risposte ancora mancanti riguardassero proprio la ricerca della sua vera
identità, oggi francamente non troppo distinguibile.