Alla base di tutto c’è il
grunge, e poi anche generi più
autoctoni come il
punk, la
psichedelia e il
blues, ma forse la descrizione più corretta per il materiale assemblato dai torinesi
Klinefelter nel loro
full-length “Throat” è quella che riferisce di una forma di
hard rock moderno a 360° (o
rock post-atomico, come ironicamente autodefiniscono il loro approccio stilistico, in un crogiolo dove vengono fusi AIC, Creed, Violent Femmes, QOTSA, The Black Keys e la Blues Explosion di Jon Spencer …), capace di filtrare attraverso il prisma di una notevole sensibilità ed eclettismo espressivo la solida base formativa che la contraddistingue.
Dura, accattivante, mutevole o malinconica a seconda delle atmosfere, la musica del Cd propone un variegato campionario di vicende soniche assai appaganti, in cui è sempre la “forma canzone” a prevalere, in un oculato equilibrio tra impatto,
furbizia melodica e creatività.
Nei quarantacinque minuti del disco troverete le linee armoniche dirette e spigliate di “I want you” (brano di cui esiste anche un divertente videoclip), che diventano vagamente oblique in “Suicide” (con bagliori dei Blur nell’impasto!), "Deep treason” e “Smile with you”, l’approccio irrequieto e catartico di “Cure me baby”, “Anorexia”, “Like eggs” (che mi ha ricordato addirittura qualcosa dei Think Tree) e "You in the fire” e ancora l’intensità palpabile delle ballate visionarie e magnetiche “So far”, “The beginning of the end”, "Another fucking ballad” e “No lies”, un settore in cui il gruppo pare eccellere in modo particolare, scontando modesti eccessi di ruffianeria e di prevedibilità solo nella comunque piacevole “Dwywd”.
La voce di Claudio modula le varie interpretazioni con misura, calore e vitalità, e assieme alle specificità esecutive dei suoi abili sodali costruisce con dovizia le brillanti trame sonore dell’albo, ostentando una coesione collettiva (da considerare un autentico punto di forza della band, del resto citato come tale anche nel volantino promozionale offerto a supporto dell’opera) davvero significativa, in grado, a mio modo di vedere e “sentire” le cose, di portare lontano i nostri Klinefelter, per i quali limito gli entusiasmi attendendomi, come solitamente accade agli
emergenti maggiormente promettenti, un pizzico di
ulteriore coraggio nell’osare qualche soluzione ancora più
carismatica e
persuasiva.
Per ora, impressioni ampiamente positive, che trascendono in modo abbastanza perentorio una “normale” ammirazione per la scena
underground attuale: piuttosto ricca, valida e
livellata.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?