Cambio di direzione per il duo svedese Shiva che va ben oltre le atmosfere AOR dell'omonimo debut album del 2002 e consegna all'etichetta MTM questo stupefacente "Desert Dreams". Questa volta Mats Edstrom (chitarre e keyboards) e Anette Johansson (voce) si muovono verso sonorità molto più corpose, tra l'hard-rock e il rock melodico con qualche somiglianza con i Judas Priest dell'epoca Painkiller. L'album contiene dieci pezzi che brillano ognuno di luce propria, dotati di identità e tratti distintivi: nessuna canzone è mai simile ad un'altra né esistono cali di tensione o pezzi qualitativamente inferiori agli altri.
Chitarre e tastiere sono incisive e la produzione, dello stesso Edstrom, è di buon livello, ma quello che rende questo disco impareggiabile è la cantante Anette Johansson. Premetto che non farò paragoni tra la Johansson e altre artiste perché mi sembrerebbe riduttivo: lo stile, l'estensione vocale e l'interpretazione di cui la vocalist svedese è capace la rendono decisamente unica e difficilmente accostabile ad altri. L'album parte in grande stile con l'up-tempo "Mistery of mind", in cui la voce della Johansson è talmente potente da perdere ogni tratto femminile e le chitarre sono ottime colonne portanti del pezzo. Le due seguenti tracce "Desert dreams" e "Unjustify the truth" proseguono idealmente il discorso iniziato dall'opener ma, mentre la title-track sfoggia un ritornello tendente all'AOR, abilmente inserito in modo da formare uno stacco dal resto del pezzo decisamente più heavy, "Unjustify the truth" è un tripudio di chitarre graffianti e voce rabbiosa. Originalissimo l'inserto jazz nella seconda metà della canzone. "Completely strangers", inno alla natura, rallenta lievemente rispetto alle precedenti e la voce di Anette riprende toni femminili decisamente più idonei a questo pezzo pop-rock. La ballad "Losing my child" è uno dei capolavori indiscussi di questo album: Edstrom al pianoforte accompagna una straordinaria interpretazione della Johansson che usa tutta l'estensione vocale di cui è capace per adattarsi al testo che alterna strofe dolci a momenti di rabbia cieca. Il risultato fa veramente venire i brividi, sia per l'intensità del cantato sia per le atmosfere struggenti abilmente create dal sottofondo strumentale. "Passenger of life" è un ritorno al rock melodico anni '80, dedicato agli emarginati dalla vita. "Crucified" e "Porno Star" ritrovano i ritmi più hard temporaneamente abbandonati con i due pezzi precedenti per poi lasciare il posto alla seconda ballad dell'album. "Dawning of a new horizon" ha i tratti caratteristici delle classiche ballad, manca sicuramente dell'originalità compositiva e canora della precedente "Losing my child". Chiusura in bellezza e in velocità con "The preacher", tra tutti il pezzo più marcatamente Judas Priest. Ancora una volta una grande prova di Anette Johansson che arriva ad emettere acuti degni di una cantante lirica. L'assolo di chitarra ricorda Yngwie Malmsteen.
Se il precedente self-titled era passato più o meno in sordina, questo Desert Dreams è sicuramente destinato a riscuotere grandi consensi. Vedremo se in sede live (che mi auguro essere il più presto possibile) il duo svedese saprà mantenere tutto lo splendore di cui è stato capace in studio di registrazione.
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