Ulteriore bel passo in avanti per gli
ElettroCirco di Aosta, band che avevo già incensato su queste stesse colonne ai tempi del debutto omonimo e che oggi con “Questa città” conferma e amplia tutte le impressioni ampiamente positive già espresse in quell’occasione.
A beneficio degli eventuali “distratti”, ricordo che si tratta di un’
équipe davvero competente e abile nel far convivere
hard rock,
blues,
soul,
prog e
psichedelia e poi ammantare il tutto con un gusto melodico tra il
pop e l’
alternative in grado di alienare con risolutezza il senso di forzatura
revivalistica abbastanza comune nei nostri tempi di riscoperta dei “classici”.
Generosa cultura musicale, vocazione istintiva e sincera e un’inarrestabile passione sono ancora una volta le caratteristiche distintive di un progetto davvero avvincente, capace di usare l’italiano con dovizia e intensità, piegando una metrica non sempre adeguata alle ritmiche del rock senza affidarsi ad eccessivi ermetismi o a trattati filosofici particolarmente significativi, e tuttavia conservando intatte le prerogative espressive di una lingua splendida malgrado le sue "oggettive" difficoltà in certi contesti.
Il gruppo, con qualche piccolo ritocco in formazione rispetto all’esordio, è evidentemente maturato nella scrittura, negli arrangiamenti e nell’esposizione, che oggi si fanno più sicuri e determinati, probabilmente anche grazie a eccellenti esibizioni live (tra le più importanti ricordiamo TavaRock e Miscela Rock Festival, ma vi garantisco per esperienza personale che anche in situazioni meno prestigiose i nostri danno sempre il massimo, gratificando enormemente il pubblico, indipendentemente dalla sua numerosità …) dove lo spirito di “comunanza” tra i membri appare veramente
assoluto, finendo per poter essere identificato come un fattore sostanziale per la realizzazione di canzoni così appassionanti e vibranti negli effetti sensoriali.
Inutile sottolineare, sebbene tutte le componenti della questione siano ugualmente importanti, quanto la voce sia un elemento vitale nel suo ruolo di primo
trasmettitore emozionale, ed ecco che la prestazione di Diego Tuscano (“vecchia volpe” della fonazione modulata, già apprezzato in SanniDei e più recentemente negli Shanghai Noodle Factory) si offre agli ascoltatori con rinnovata forza espressiva, unita alle consuete doti di calore e trasporto che l’hanno reso, almeno a mio modo di “sentire” le cose, una delle ugole più interessanti del panorama nazionale, nel suo settore di competenza.
Una sezione ritmica impeccabile, con l’ottimo Iacomini impegnato, assieme all’ispiratissimo Alessandro Picciuolo, anche nella gestione di chitarre sempre frementi e gravide di
feeling, completano un brillante quadro generale in cui le tastiere di Barbero (artefice pure del mixaggio del Cd) fungono da suggestivo e cangiante contributo sonoro, rappresentando qualcosa di più di un semplice ornamento estetico.
Si parte alla grande con “La dama”, una sorta di compendio delle passioni musicali della band, avvolgente e sinuoso, il brano vibra di surreale elettricità e si segnala per una libertà espressiva capace di sfociare nel
jazz e nella
fusion, preservando coerenza e concretezza melodica.
“La voglia” è un
carnale hard-blues piuttosto riuscito, anche nella trattazione di uno degli argomenti preferiti del rock (e degli esseri viventi in generale …), la
title-track esplora attraverso le traiettorie di uno slow spigliato, pulsante e notturno, le malinconie dell’esistenza in una metropoli, mentre con “Il guaio” ritorna e manifestarsi la sagace miscela di
juta e
velluto tipica della band.
“Onde del mare” solca il funky più disinvolto e gigione, “Il sogno di Prometeo” unisce intelligenza e fruibilità, lambendo certe forme di “pop progressivo” nostrano e “Come non detto” offre una versione inedita de
il Tusco, qui costretto a scurire il suo timbro per adeguarsi ad una struttura sonica liquida, fluttuante e mesta, in grado di sviluppare una discreta forma di suggestione emotiva.
Con il fraseggio incalzante e le schegge iridescenti di “Al posto del vino” e la trascinante
ghost-track “Donna di crema” si conclude un albo che potrebbe piacere sia al pubblico più smaliziato e “adulto”, che apprezzerà la preparazione tecnica, spirituale e intellettuale dei suoi autori, e sia a quello magari un po’ meno scaltro, maggiormente colpito da un linguaggio dotato di una rimarchevole accessibilità melodica.
In ogni caso, anche lontano da
previsioni che assumono altresì la valenza di una vivida
speranza, non mi resta che complimentami energicamente con gli ElettroCirco, nell’attesa di poter ammirare ancora una volta le loro notevoli qualità in un
live show in cui, assieme al loro brillante repertorio, spero di poter ascoltare nuovamente la loro versione dell’esoterica “The blue garden”, un vero
regalo per tutti i fans della prima ora dei favolosi Masters Of Reality.