Affermare che i laziali
Betty Poison (ex Betty Ford Center,
monicker modificato per non incorrere negli strali del noto centro di disintossicazione di lusso statunitense) rappresentino un’autentica “novità” nel panorama musicale internazionale, è sicuramente un
azzardo almeno quanto ridurli ad una mera
copia di Hole e degli altri gruppi caratterizzati da
front-woman particolarmente conturbanti e
rrriot-ose.
La scelta di Courtney Love e dei suoi sodali di volerli come
opening band nei loro concerti italiani dello scorso anno, una musica fatta di tensione, catarsi, inquietudini,
grunge,
punk e
alternative, la
leadership di Lucia Rehab (oggi affiancata da Annika Kreusch dei Pandora, novella Melissa Auf der Maur?), a quanto sembra autentico “animale da palcoscenico”, dotata di una timbrica ineffabilmente roca e rabbiosa, delineano, invero, alcuni importanti punti di contatto tra la band nostrana e le esperienze artistiche della vedova Cobain, e tuttavia, almeno per quanto mi riguarda, gli autori di questo interessante “Beauty is over” dimostrano di essere sufficientemente abili, “veri” e credibili per fare in modo che tali affinità non sconfinino nel plagio.
E poi forse Lucia canta (con sfumature fonatorie che vanno da Chrissie Hynde a P.J. Harvey) persino meglio di Courtney, mentre il rancore, le nefandezze, le cicatrici e le violenze di una realtà “scomoda” eruttate dalla sua laringe in forma di sfogo
psicanalitico ammaliante e temibile al tempo stesso, possono, in effetti, ricordare ancora una volta certe espressioni del cosiddetto “foxcore”, quando ancora nelle sue vene scorreva puro
arsenico e non
melassa pseudo alternativa, quando la rabbia, il dolore e il sarcasmo non erano ancora diventati una specie di
pantomima fastidiosamente “commerciale”.
E badate bene, non si tratta di un caso di
snobismo da popolarità (fenomeno per cui un gruppo è attendibile finché mantiene il suo status
underground e diviene automaticamente fasullo con il successo, sebbene non sia “semplice” essere considerati davvero degli
iconoclasti allorché il proprio conto in banca diventa particolarmente sostanzioso …), anche perché i nostri stanno facendo piuttosto bene pure in questo campo (sfruttando argutamente, per accrescere la loro visibilità, la combinazione tra il notevole carisma e l’istrionismo della loro cantante e la curiosità spesso
morbosetta dei media … l’immagine della “ragazza cattiva” ha sempre il suo fascino …), ma di una capacità comunicativa scaltra, piena e urgente, capace di tradursi in energia infetta e impetuosa, dove la melodia, l’ardore, la malinconia e il dramma sono elementi che trovano tutti uno spazio adeguato.
Ascoltare l’avvolgente opener “Bad boy snuff toy”, scintillante e tagliente come il vetro appena infranto, la bella “So raw”, dove affiora un pizzico d’ispirazione Pretenders-
iana, la potente “I do”, l’inquieta “You”, e poi ancora, su tutte, il crescendo struggente e disperato di “Time” (molto bello il video curato dalla Minimal Cinema), gratificato da un’interpretazione vocale vibrante e passionale che non disdegna
ruggiti alla Janis Joplin, rappresenta il tramite migliore per entrare in contatto con l’universo dei Betty Poison, un mondo in cui le cadute di tensione sono abbastanza circoscritte, il ristagno creativo è contenuto nei limiti di un’appartenenza di “genere” e in cui, nonostante tutto, il prepotente impatto sensoriale che lo contraddistingue saprà incollarvi al muro e scavare un solco profondo nella vostra tormentata anima di
rockers.