Non è probabilmente la maniera più corretta di approcciarsi ad un disco e forse è il modo meno ortodosso di iniziare a tentare di spiegarlo tramite una recensione, ma per una volta vorrei partire dalla
cover che il multi-strumentista italo-francese
Franck Carducci ha scelto di inserire nel suo albo di debutto solista, giunto dopo una carriera ricca di collaborazioni riscontrabili in una ventina di formazioni diverse.
“The carpet crawlers”, tratta dal capolavoro dei Genesis “The lamb lies down on Broadway”, oltre a rappresentare un’ambiziosa sfida vinta, tanto è realizzata con devozione, trasporto e vocazione, consente, in realtà, anche di identificare il mondo musicale del bravo Franck, un universo dove la magniloquenza, l’emozione, il liquido lirismo, l’irrequietezza espressiva e la tecnica si realizzano compiutamente in affreschi musicali di rara suggestione, attraverso quella forma d’arte passata alla storia come
progressive rock.
Se, poi, ai favolosi Gabriel, Banks, Collins, Hackett e Rutherford, aggiungete la fantasia straniante e onirica dei Pink Floyd, altro
colosso incontrastato del genere, avrete un’idea ancora più chiara di cosa vuole proporre Carducci nel suo “Oddity”, aggiungendo ad una perizia indiscutibile (sua e dei suoi sodali, tra i quali si distinguono gli ospiti John Hackett, Larry Crockett, Phildas Bhakta e la
folk-singer Yanne Matis) tutta la sua prorompente passione per questi suoni, risolti magari senza
soverchia personalità, ma sempre incredibilmente affascinanti quando a (re)interpretarli c’è gente dotata della giusta cultura e attitudine.
Insomma, un disco non troppo
imprevedibile che però saprà conquistare chi sostiene il valore imperituro del
prog primigenio, ritenendolo ancora capace di evocare prepotenti sensazioni.
Gratificato da un delizioso gusto “old-fashioned”, “Oddity” saprà ammaliarvi con la sontuosa suite d’apertura “Achilles”, ipnotizzarvi con le fascinose visioni Floyd-
iane di “The quind” (tra le cui spire emerge addirittura un didgeridoo …), impressionarvi con la classe cristallina di “The last oddity”, ma anche sorprendervi per la disinvoltura con cui applica al canovaccio stilistico di base spigliate rifrazioni
folk-rootsy come accade in “The eyes of age” oppure per come certifica di saper anche mostrare i “muscoli”, come avviene in “Alice eerie dream”, dove un sentito contributo di (hard) rock blues, aggiunge alle prospettive ispirative fugaci apparizioni di Deep Purple, Hendrix e Uriah Heep.
I
fans del genere sono avvisati … Franck Carducci non stravolgerà le vostre esistenze e tuttavia colpirà diritto al vostro “vecchio” cuore di
prog-maniacs.
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