Sono certo che qualcuno degli utilizzatori di una “rivista cibernetica” come quella che state leggendo, che si avvale della gloriosa denominazione
Metal.it, alla sola menzione di generi musicali come il
post-punk e la
new-wave sarà colto da attacchi violenti di
allergia, ma sono anche altrettanto persuaso che ormai, in tempi di “globalizzazione musicale”, certi preconcetti dovuti alle pastoie dei generi dovrebbero essere ampiamente superati (illuso?), lasciando che la curiosità e la voglia di “scoperta” siano le molle primarie del vero
musicofilo (e in questo la Rete è un’enorme risorsa) e che sia poi il gusto personale l’unico giudice della questione.
A beneficio dei
fans dei suoni caliginosi e malinconici, nati come raffinata e decadente risposta e successione al nichilismo del
punk, e di chiunque non sia ancora
fuggito dopo le prime righe di questa disamina, voglio segnalare “Change of skin” dei riformati e rinnovati
The Danse Society come un albo piuttosto interessante, generoso nella vitalità espressiva e nella capacità di coinvolgimento emotivo.
Chi ha seguito le vicende del settore riconosce in quello del gruppo inglese uno dei nomi importanti e primigeni della scena, sicuramente meno fondamentale e seminale di tanti altri (Bauhaus, Southern Death Cult, Sisters Of Mercy, Joy Division, Killing Joke, Siouxsie And The Banshees, …) e tuttavia dimenticato un po’ troppo presto, dopo un iniziale consenso.
Ebbene, i nostri, tenendo fede ad una consuetudine ormai
forse eccessivamente diffusa, tornano in pista (grazie anche ad una sorta di
petizione popolare realizzata tramite Facebook e denominata
The Danse Society Reformation Plot) partendo proprio da dove si erano fermati, inserendosi, però, in un’ottica maggiormente raffinata e matura, oltre che, in qualche modo, più
moderna.
Una trasformazione dovuta in primo luogo, ovviamente, alla crescita naturale della band e in cui ha avuto un peso rilevante anche la nuova voce della formazione, appartenente a Maethelyiah, una cantante davvero straordinaria, nota soprattutto per il suo lavoro con i Blooding Mask e che personalmente avevo apprezzato anche nella breve e significativa “ospitata” nello splendido “Kalachakra” del Ballo delle Castagne.
La sostituta di Steve Rawlings si dimostra un’autorità nel campo della fonazione modulata, capace di marchiare con notevole sicurezza e disinvoltura le tredici composizioni del disco, riuscendo ad imprimere una vibrante forza evocativa alle canzoni evitando di scadere in vocalizzi estenuanti o stucchevoli, un difetto, questo, assai ricorrente nel mondo delle
tenebre in note.
Peculiare pur nella devozione alle grandi vocalist fosche e
cerebrali (una citazione per tutte … Susan Janet Ballion, al secolo Siouxie …), l’interprete laziale diventa la vera protagonista di questa miscela di cavernoso
electro-rock, affascinante nel suo brillante equilibrio tra ruvidezza, algidità, armonia, magnetismo e inquietudine.
“Revelation”, “God cry” (mi ha procurato una “strana” sensazione … sentire Mina alle prese con un “
attacco mistico-depressivo” … boh … è un complimento eh!), la spettrale “Slowfire”, “Resurrection”, la liturgica “Vatican” (con tanto di recitato in italiano …) e ancora la suggestiva "End of days” (un gioiellino
cinematografico per spiriti inquieti e notturni), sono i momenti complessivamente migliori di un lavoro alquanto convincente nella sua totalità, che in sede di valutazione finale consente di esprimere almeno due motivi di soddisfazione: per un buon ritorno e per aver evidenziato ulteriormente le doti di un’eccellente cantante.