Debutto discografico sulla lunga distanza per i torinesi
The PotT (acronimo per
The Parasites of the Tablecloth), giovane duo passato da poco ad una formazione a cinque, per mantenere in sede live le atmosfere prodotte e costruite all’interno di questo “
To Those in the Eyes of God”. Il qui presente primo album consta di nove tracce, di cui l’ultima nasconde una ‘ghost track’, ma tutte si barcamenano più o meno su uno stoner/alternative lisergico e fortemente contaminato, in cui la componente elettronica viene sapientemente dosata per filtrare, accompagnare o adornare gli strumenti e la traccia vocale. Interessanti commistioni, si diceva, perché la band ha lavorato molto bene in studio, producendo un lavoro maturo, che non puzza di debutto.
Ovvio che una proposta del genere è rigorosamente mirata e consigliata agli amanti del genere; all’interno di questo dischetto c’è un’atmosfera quasi irreale, onirica nelle sue costruzioni arzigogolate, sofferente nella voce narrante, che sa esplodere in momenti più nervosi (“Sick”, la danzereccia “The Lost art of Pretending”) o quasi assopirsi nei momenti più onirici, come in “In This Hole”, o “Prison of Social”, dal drum’n’bass molto bello.
Il lavoro è interessante e ben confezionato, il mercato è quello che è, la proposta è particolare e non certo di immediata fruibilità, ma potrebbe essere proprio questa la carta vincente per una band giovane, determinata e dal sound originale, seppur inevitabilmente derivativo. Complimenti ai The PotT, e un in bocca al lupo grosso così per il futuro.
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