Ho conosciuto
I Treni All’Alba grazie al loro concerto di presentazione del disco d'esordio “Folk destroyers” a cui ero stato invitato da un’amica particolarmente
interessante, e per ragioni piuttosto svincolate dai suoi gusti musicali.
Impossibile, però, non lasciarsi conquistare dalla prova di questo singolare quartetto aostano / torinese, dedito ad una forma davvero intrigante e vitale di
folk-prog-rock apocalittico, in cui la responsabilità di una difficile convivenza tra generi musicali apparentemente parecchio distanti (
jazz, le musiche tradizionali del mediterraneo, l’
hard, il
progressive settantiano, il
post-core, l’irruenza del
punk …) viene affidata ad un’esibizione esclusivamente strumentale e perlopiù acustica.
L’impresa si realizza tramite un innato ed esuberante istinto espressivo egregiamente bilanciato da un notevole senso della misura, il tutto capace di rendere al tempo stesso
colta e
accessibile una rotta sonora in continuo mutamento (un corroborante “frullato” di Black Heart Procession, Calexico, Mars Volta, Isis, De Andrè e Yann Tiersen …), fatta di vibranti paesaggi immaginari che scorrono vividi davanti a
occhi e
orecchie e che conduce ad un’unica meta, la
sorpresa e la
soddisfazione sensoriali, espugnate tramite il
coraggio e la scintilla dell’
ispirazione.
La componente
cinematografica della questione, così importante per il gruppo (
cfr. la sua bio) si accentua ulteriormente nel nuovo “2011 A.D.” (
sottotitolo “L'Apocalisse della porta accanto”, ad identificare una sorta di
colonna sonora della catastrofe innescata da una quotidianità schizofrenica e sottomessa, in cui una delle poche possibilità di conforto e riscatto risiede nella forza delle emozioni), nella forma (“Distrettotredici” si manifesta, ad esempio, come un’esplicita citazione dell’arte Carpenter-
iana, in realtà già celebrata nell’esordio con riferimenti ai celebri messaggi subliminali di “Essi vivono” …) e nei contenuti (il neorealismo italiano, Wenders, Fellini, Sergio Leone e Morricone, sono solo alcune delle
suggestioni evocate dall’ascolto del disco), così come si perfeziona l’equilibrio tra
impeto e
creatività, per merito, verosimilmente, di una maggiore consapevolezza complessiva, in grado di stemperare il carico
ansiogeno e l’urgenza comunicativa di una band che oggi riesce a far diventare ancora più coerente la sua prestazione, pur inoculando la visceralità dei
live nella fervida immaginazione delle sue partiture.
A onor del vero, forse, per compensare completamente la mancanza di una voce, che comunque in questo caso sembrerebbe “fuori luogo” (e lo dice un grande estimatore della
fonazione modulata!), manca ancora qualcosa in fatto di coefficiente di penetrazione emotiva, ma ciononostante non è veramente pensabile rimanere impassibili di fronte a trentotto minuti di chitarre, piano, basso e batteria intrecciate come i sentimenti dell’esistenza umana, in un groviglio di tensione, alienazione, malinconia, speranza, rabbia e poesia, così difficili, non a caso, da esprimere efficacemente con le parole.
Quella sera del 2008 le mie aspirazioni “romantiche” si sono mestamente concluse con l’ennesimo “nulla di fatto” e tuttavia la soddisfazione di aver “scoperto” una band così appassionante riuscì a mitigare (potere del
rock!)
prepotentemente l’inevitabile delusione … ora quella stessa formazione è “cresciuta” e si segnala con decisione come una delle realtà più affascinanti del panorama
alternativo contemporaneo.