La Terza Gabbia edificata dalla premiata ditta
Tony Martin e
Dario Mollo è un autentico
recinto dorato in cui gli estimatori di Black Sabbath e Rainbow troveranno grande conforto e da cui
fuggire (magari per dedicarsi a situazioni analoghe maggiormente “sponsorizzate”, ma meno efficaci … ) non sarà tanto facile e per di più per nulla
desiderato.
Del resto, chi conosce i primi due episodi della “saga” e la storia dei titolari del progetto non si poteva aspettare un prodotto poco accurato, “freddo” o particolarmente
rivoluzionario, ma giacché
ripetersi senza apparire
banali non è un’impresa semplice, mi sento di tranquillizzare sia i
fans storici del gruppo e sia, in generale, tutti gli amanti di queste sonorità: “The third cage” è un disco che unisce le qualità e la vocazione di grandi musicisti (compreso il resto dell’affidabile team … Gualdi, Gaslini e Patti sono una garanzia …) alla freschezza di composizioni che non danno mai l’impressione di un mero esercizio di stile e che conquistano istantaneamente grazie ad un vincente connubio tra vivace forza espressiva e solida “coscienza storica”.
Evidentemente il livello di “coinvolgimento” degli autorevoli protagonisti dell’opera deve essere stato assai elevato se dalle loro sinapsi cerebrali, dal loro cuore e da alcuni altri selezionati “organi” sono scaturiti brani d’inaudita potenza come “Wicked world”, una vibrante sinergia tra Sabs, Judas Priest e BLS, pregna di
groove e di soggiogamento sensoriale e se sono germogliate “Cirque du freak” e “Oh my soul”, evoluzioni soniche che riportano alla memoria l’impetuosa enfasi drammatica di “The eternal idol”, “Headless cross” e “Tyr” senza venire sconfitte in partenza da un paragone così illustre e anzi apparendo come credibili contendenti di tale immarcescibile
grandeur.
Tocca, poi, a “One of the few” e a "Don’t know what it is about you” ratificare l’abilità squisitamente melodica del gruppo, sconfinando in territori non troppo lontani, per esempio, da certi Rainbow (o, volendo, pure Whitesnake) “americani”, mentre con “Still in love with you”, forte di una brezza mediorientale di grande suggestione, e con l’anthemica "Wardance” è nuovamente il clima solenne e visionario dell’
Arcobaleno di
Dio ad espugnare il proscenio, sottolineando l’assoluta superiorità della brillante coalizione
anglo-italica in questo specifico contesto espressivo.
All’appello mancano ancora “Can’t stay here”, un buon misto di volubile melodia ed energia, “Blind fury”, una bella “mazzata” che fa onore, con un’adeguata
misura armonica, al suo titolo e “Violet moon” una (Blackmore-
iana) ballata dalla notevole carica passionale, adeguato epilogo ad un disco in sostanza ineccepibile e che, nel suo settore di competenza, ancora una volta, darà del filo da torcere a tutti gli eventuali (solitamente piuttosto numerosi, a dire la verità …) antagonisti.
Chiudo la disamina con una domandina,
futile,
frivola e tuttavia
impellente … con il nuovo
look, non sembra anche a voi che Tony Martin appaia come una sorta di
interpolazione estetica tra Giorgio Faletti e Peter Gabriel?
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