Copertina SV

Info

Anno di uscita:2012
Durata:57 min.
Etichetta:Eibon Records
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. 1
  2. 2
  3. 3
  4. 4
  5. 5
  6. 6
  7. 7

Line up

  • Francesco: guitars & synth
  • Diego: guitars
  • Stefano: bass
  • Matteo: drums

Voto medio utenti

I Mondrian Oak sono una band italiana che, con il presente “Aeon”, giunge al secondo full-lenght, dopo “Through Early Seeds” del 2009.
Il quartetto è molto misterioso, almeno in apparenza. La band non sente il bisogno di dare un nome alle proprie composizioni, giacché le stesse sono prive di voce, interamente strumentali.
Appare palese l’invito che la band fa a concentrarsi unicamente sulla musica. Un invito che, tuttavia, pare difficile da raccogliere, perché pur concentrandosi precipuamente sulla musica, si viene invasi da un senso di inquietudine e spaesamento.
L’ascolto di “Aeon” mi ha indotto in una riflessione. Ascoltando le sette tracce del disco, nel tentativo di classificare la musica, mi sono reso conto di quanto la voce sia importante per indirizzarla e categorizzarla. Non parlo ovviamente solo dei classici stili, tipo il growling o lo screaming, che caratterizzano determinati generi, il death metal e il black metal, ma anche dell’intonazione, dell’espressività e, perché no, dell’esecuzione vocale.
Faccio un esempio banale, gli Alcest. Pur essendo ormai musicalmente lontanissimi dal black metal, le vocals di Neige e il suo modo di cantare fanno sì che gli Alcest vengano ancora accostati e classificati nel black metal, sebbene contaminato.
Questo per dire che, in assenza di riferimenti vocali, l’ascolto delle sette tracce del disco apre scenari impensabili all’immaginazione.
Eccoci arrivati al punto. Sebbene i Mondrian Oak si definiscano postrock o, con un termine che vuole dire niente, postmusic, in realtà l’ascolto della loro musica detta più di una suggestione.
Parliamo di musica che di certo non è felice, non è veloce, è fortemente giocata sugli umori di chitarra, con parti lente, dilatate, ridondanti, con una decisa vena oscura e malinconica.
Durante l’ascolto mi venivano in mente i guru della scena postcore, dai Neurosis di “A Sun That Never Sets” e dai progetti solisti di Steve Von Till, passando per gli Yakuza e le loro parti jazzate. Ancora, certe vibrazioni hanno il potente substrato stoner delle cose più lente dei Kyuss, altre si avvicinano all’umore apocalittico del funeral doom, pur non sconfinandovi mai. Certe dilatazioni soniche rimandano ai liquidi Tool e l’uso dei synth, talvolta, dona una gelida aria industriale alle composizioni. Ancora, la psichedelia si fa strada tra i solchi di “Aeon” citando i Pink Floyd più oscuri e lo spacerock ottantiano. In certi frangenti fa persino capolino il folk apocalittico.
Sono sicuro di avervi confuso le idee. Ma non c’è verso di spiegare cosa troverete in questo disco.
Disco che si presenta come un trip, un trip che solo una volta provato vi permetterà di esprimere un giudizio.
Il mio, sebbene non quantificabile, è assolutamente positivo. Resta la consapevolezza di come l’umore compositivo colori e connoti le note, dando alle stesse un senso diverso ogni volta. Potenza della musica!
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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