Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2003
Durata:52 min.
Etichetta:Psyclone Records
Distribuzione:Brainstorm

Tracklist

  1. ROT
  2. SICK
  3. THINK ABOUT IT
  4. HIGH
  5. BARELY BREATHING
  6. FIX ON
  7. THIS WAY
  8. PUSHER
  9. SHAME
  10. CURSED
  11. SUPADUPAMACHOMAN
  12. BLUE SKY LIE

Line up

  • Rob Traynor: vocals, guitar, bass, keyboards
  • Steve Tobin: drums

Voto medio utenti

Dust to Dust è una “one-man band”, ovvero il progetto del cantante-polistrumentista Americano Rob Traynor, il quale nel presente “Sick” si è preso cura di ogni dettaglio: dalla composizione alla produzione, dalle liriche al missaggio, con il solo contributo del batterista Steve Tobin e della collaborazione saltuaria di Kenny Hickey, chitarrista dei Type 0 Negative, che si è prestato per brevi spunti solistici.
La musica dell’album è un incontro tra le sonorità del metal moderno e melodie ispirate dal rock ottantiano e dal grunge del decennio successivo. Ne scaturisce un’atmosfera ibrida, che per la sua stessa composizione offre la sensazione strisciante d’incompletezza, di sfocatura.
In partenza “Sick” ha l’aspetto e la sostanza di tanti prodotti nu-metal pronti ad essere immolati sull’altare di MTV ed affini, la dura potenza ammiccante di “Rot” pare studiata a questo scopo ed in questo senso il brano è certamente vincente. Traynor però non si irrigidisce su questa formula ed allarga lo spettro musicale e vocale in due diverse direzioni.
La prima è in senso hard-anthemico basata su canzoni essenziali, solide, dai ritmi sostenuti ma non irruenti, che rinunciano a qualcosa in fatto di modernità smussando gli spigoli in favore di un profilo rock più accessibile, quindi “Think about it”,”Fix on”, l’agrodolce “Pusher” e la massiccia “Cursed” figurano come tracce oneste e degnamente grintose ma non particolarmente incisive, troppo simili nel loro tentativo di agguantare un feeling muscolare ma al tempo stesso orecchiabile.
La seconda corrente è rappresentata dalle numerose ballate romantiche tradizionali, troviamo l’ottima “Barely breathing” forse la migliore song del disco anche se paga pegno ai Soundgarden, le zuccherose e mollicce “High” e “This way”, ed ancora “Shame” dall’intenso riflesso notturno e l’acustica “Blue sky lie”. La vena emozionale del gruppo è interessante e piacevole ma gli episodi soffusi sono troppo numerosi e non tutti indispensabili, così la caduta di tensione rimane costantemente in agguato.
Ci resta quindi un album che gioca tutte le sue carte sulla varietà del songwriting e sulla versatilità del factotum Traynor, interprete appassionato e polivalente, non sufficiente però a mascherare l’assenza del climax vincente, il guizzo di classe che eleva un opera sopra la media. In sostanza il secondo lavoro di questa formazione rischia di perdersi tra la marea di uscite dell’attuale periodo.

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