Tra gli innumerevoli vantaggi ottenuti entrando a far parte dello staff di Eutk (ricchezza, fama, immortalità…ed un sacco di donne!) c’è anche quello della possibilità di approfondire la conoscenza con formazioni che altrimenti mi sarebbero sfuggite per tanti e vari motivi (vabbè ammettiamolo, è proprio l’unico vantaggio..).
Caso emblematico i Mother Superior, dei quali sono diventato estimatore avendo avuto occasione di seguirli sia come band di supporto del bravo Henry Rollins sia nella loro produzione autonoma, di ottimo livello.
Il trio guidato da “General” Wilson piace per la capacità di fare bene le cose semplici, mettendoci passione, anima ed un pizzico di talento che eleva dalla mediocrità. Bandite le soluzioni ridondanti e magniloquenti, nei loro albums solo tanto rock verace e sincero, altrettanto rockblues settantiano e spruzzate assortite di hard, funky, soul e pop adulto. Una miscela imbevuta nella tradizione che grinta, onestà e buon songwriting provvedono a rendere incandescente.
Tutto come al solito in questo “13 violets”, una raccolta di brani tosti, maturi ed intelligenti ma anche dannatamente rock e con l’ulteriore pregio della scintillante produzione di un antico maestro come Wayne Kramer (Mc5).
Ancora una volta il gruppo coniuga abilmente qualità con varietà, molteplici soluzioni che rendono il lavoro accessibile al grande pubblico senza piegarsi all’imbarbarimento trendista e senza rinunciare alla fede nel genuino rock’n’roll.
Si passa dal tiro heavy e ruvido di “Fuel the fire” e della svelta “What if” vagamente influenzata dai Kiss, gruppo che Wilson e compagni coverizzavano ad inizio carriera, ad episodi melodici misurati e di buon gusto come “Queen of the dead”, molto Rolling Stones, o l’orecchiabile e bluesy “Starlett”. Eccellente il morbido slow “Four walls”, romantico e profondo, ed anche l’iniziale tuffo nostalgico nel beat sixtiees di “Head hanging low”, divertente “Turbulence” energica e tambureggiante alla Hellacopters e piacevole anche il rhythm’n’blues di “I desire you” con l’inserimento di una sezione di fiati, brano rivolto agli ascoltatori più maturi.
Insomma un disco di belle canzoni senza tanti ghirigori, nel quale i Mother Superior confermano nuovamente di essere una formazione al di fuori delle gabbie dei generi e per nulla vanagloriosa. Gente che bada al sodo e meriterebbe molto più successo di quello che ottiene di solito.
Magari rispetto al precedente “Sin” si è perso qualcosa in fatto di aggressività e c’è forse un pizzico di brillantezza in meno, ma i Mother Superior vanno comunque preservati perché fanno parte di una razza in via d’estinzione: la rock band a tutto tondo. Indifferenti alle mode, alle categorie, al marketing, all’immagine, pensano solo a suonare del sano rock con mente aperta, gettando un’occhiata al passato ma con i piedi ben saldi nel presente.
Questo basta a rendermeli simpatici e le loro canzoni a farmi passare una mezz’ora piacevole, soddisfatto di aver avuto l’opportunità di conoscerli e di poterli consigliare a tutti.
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