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Un uomo, disgustato dalle bassezze della società odierna che trasuda di egoismo e ipocrisia, in cui stanno sparendo tutti i valori e che porteranno il genere umano nell’abisso, si rifugia in un dialogo con il mondo metafisico. Egli, però, comunicando con l’Oltretomba spera di riuscire a trovare risposte, rimedi contro i mali che affliggono l’umanità, ma non ottiene nessuna indicazione utile, se non risposte enigmatiche, che hanno in fondo lo stesso significato. L’uomo si è illuso, dopodiché impazzisce.”
Oltre ad ammantare d’inquietante attualità uno scritto datato 1972, queste parole potrebbero sembrare un ottimo spunto per lo schema narrativo di uno di quei rabbrividenti sceneggiati televisivi così importanti per la creazione del mito del
thriller/horror “all’italiana” (“Il segno del comando”, “Ho incontrato un’ombra”, “Ritratto di donna velata”, …), mentre in realtà rappresentano le basi ispirative di questo lavoro degli
Spettri, enigmatica formazione fiorentina che con il suo disco auto-intitolato abbandonava le velleità
beat degli esordi assoluti e si rivolgeva ad una forma di rock più fuligginoso e “d’avanguardia” che aveva in Black Sabbath, Atomic Rooster, Iron Butterfly, May Blitz, Colosseum e Uriah Heep i nuovi numi tutelari.
L’album, registrato in un’unica sessione, guarda caso di venerdì 13 (ottobre), non vide mai la luce, finché la benemerita opera d’indagine nei segreti sonori del Belpaese, svolta dalla competente Black Widow Records (in questo caso con Daniele Nuti, autore anche delle note didascaliche del booklet), riapre la
cripta dove giaceva l’
arcano master inspiegabilmente dimenticato, consentendogli una meritata rivelazione.
Beh, a questo punto, “romanzando” minimamente i termini della questione (come ho appena fatto!) e ricordando quante delle loro trame si sviluppino attraverso il pretesto di un misterioso “ritrovamento”, il legame con le pellicole di cui sopra si rafforza ulteriormente, e sono sicuro che la riapparizione di questi Spettri farà felice chi ama quel tipo d’immaginario, dove conturbanti tensioni emotive e una geniale forma, magari leggermente “artigianale”, di assimilazione dei modelli, conquistano i sensi anche in assenza di dispendiosi “effetti speciali”.
Ovviamente, però, deve sussistere la
conditio sine qua non di essere al contempo seguaci della primordiale “via tricolore” al succitato genere musicale, i quali non saranno costretti a rivedere le consolidate graduatorie dei maestri di settore (Rovescio Della Medaglia, Metamorfosi, Biglietto Per l’Inferno, Balletto di Bronzo, I Teoremi, Goblin …) e tuttavia potranno sicuramente rimpolpare la schiera dei loro (pionieristici) beniamini.
Insomma, l’ascolto di questa suggestiva composizione suddivisa in quattro porzioni (flemmaticamente annunciate una per una!), in un misto viscerale di elettricità
hard-rock, saturazioni
heavy-blues, influssi
progressivi e
psichedelici, il tutto condito da un pizzico d’ingenuità, è in grado di garantire notevole soddisfazione agli estimatori di questa “antica” formulazione sonica (oggi, peraltro, sotto varie declinazioni, tornata prepotentemente in auge) nella quale l’
hammond vibrante di Stefano Melani, l’indomita
Gibson SG di Raffaele Ponticiello, la voce nerboruta (vagamente Farlowe-
iana) di Ugo Ponticiello e la sezione ritmica instancabile e pulsante gestita da Vincenzo Ponticiello e Sergio Di Ruvo, sono espedienti perfetti per raggiungere un considerevole livello di coinvolgimento emotivo.
Sottolineando la fascinosa veste grafica della copertina (
front-cover mutuata da un olio su tela della pittrice Ferìda intitolato “La vita dopo la morte“ e libretto interno con testi e simpatiche immagini “vintage”), non resta che plaudere ancora una volta all’intera operazione, rammaricandosi subito dopo, come sempre accade, pensando al contributo che un gruppo come questo avrebbe potuto fornire alla “causa” se non fosse stato abbandonato a se stesso e all’indifferenza di un pubblico spesso troppo esterofilo e superficiale … beh, forse non avremmo avuto i Dennis and the Jets (la nota formazione di
rockabilly dove buona parte degli Spettri è confluita dopo tale improduttiva esperienza!) e avremmo perso qualcosa in fatto d’intrattenimento, ma di sicuro la parte più colta, visionaria ed evocativa della scena rock della nostra
bistrattata Penisola si sarebbe giovata di un altro importante rappresentante.