Sebbene sia datato 2010, l’album degli americani
The Handful arriva soltanto ora dalle nostre parti, suppongo a causa dei misteriosi ingranaggi che guidano la distribuzione discografica. Comunque, anche se in ritardo, è un bene che possiamo ascoltarlo, poiché si tratta di lavoro ben fatto e davvero piacevole.
Questi tizi del New Jersey, giovani ma non di primo pelo, suonano un rock dal taglio classico sempre in equilibrio tra rudezza e melodia, sfornando una serie di canzoni che risultano al contempo tradizionali e fresche, orecchiabili e grintose, irruenti ed ottimamente arrangiate. Non è poco, in tempi dove troppo spesso semplicità e chiarezza vengono confuse con la banalità.
Invece qui c’è materiale in grado di soddisfare tutti i rockers a cui piacciono gli assoli di chitarra, i mid-tempo trascinanti, le voci virili, i grandi ritornelli che si stampano in testa, il lieve retrogusto bluesy, le melodie ariose e roba del genere. In sostanza, del buon vecchio rock a stelle e strisce.
Chi preferisce l’impostazione hard, tosta, magari con un pizzico di mood southern, si troverà a suo agio con la grinta di “Walk into the light”, “Let me bleed” o la saltellante “Holy roller”. Invece quelli che cercano l’atmosfera di un viaggio senza meta lungo le infinite highways, avranno la giusta colonna sonora con il respiro più radio-oriented in “Lines are down”, “Junkie” o nelle semi-ballad “Ashes” e “Ain’t no way”. In aggiunta, mettiamo il sottile appeal seventies dell’hammond che accompagna la title-track oppure dell’armonica che punteggia appena “Grip”, mentre qua e là appaiono cenni di post grunge virato allo stoner sul modello dei Valis, vedi la tesa ed ombrosa “The key”.
Niente più di un cd che si ascolta volentieri e di una band capace di miscelare con giudizio i soliti ingredienti, però invece di correre dietro ai soliti nomi ormai spompati, questi The Handful potrebbero rivelarsi una gradevole sorpresa.
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