Questo lavoro sarebbe perfetto per un dibattito sul confine tra originalità creativa e stranezza fine a sè stessa. Dov’è che termina l’una e comincia l’altra? O si tratta comunque di espressione artistica, anche se mi faccio la chitarra con un manico di scopa, la batteria coi fustini del detersivo e ficco un gatto nella pentola di acqua bollente, per ottenere un nuovo tipo di vocals? Quesiti antichi, che cedo volentieri alle nuove generazioni.
A me serviva solo ad introdurre l’album di un trio di connazionali, che come si evince dal titolo è ispirato dai testi di Lovercraft, nome quanto mai ricorrente in ambito heavy music. La particolarità più immediata è quella che riguarda la strumentazione dei
TalismanStone: due bassi, una batteria, voci maschili e femminili, effetti vari. Stop. Niente chitarra o tastiere, piuttosto contributi di flauto e soprattutto sitar, strumento asiatico che da sempre stuzzica l’interesse dei musicisti occidentali.
Con tale arsenale sonoro, vengono realizzate quattro tracce per un totale di tre quarti d’ora. Monumentale la title-track, un trip di quasi venti minuti. Gli amanti dei filoni tradizionali, possono tranquillamente fermarsi qui.
Parlare di proposta difficile, impegnativa, estenuante, è un eufemismo. Nel complesso, l’atmosfera è quella di una narco-jam allucinogena, sospesa nel tempo e nello spazio tra interminabili linee di basso e visioni mistiche alla Sai Baba. Il tutto viene filtrato in chiave oscura, cercando di replicare l’effetto di strisciante malvagità che lo scrittore sapeva evocare così bene nei propri scritti. Anche le voci possiedono vibrazioni ritualistiche, arcane, come provenissero da dimensioni ultraterrene. Psycho-doom sui generis, visto che l’incedere è lento ed oscuro all’interno di un contesto completamente lisergico.
Pur con caratteristiche proprie, il lavoro del trio può essere fatto rientrare nella sfuggente area del doom/drone/ambient sperimentale, sul tipo Sunn O))), Earth, Bong, Abramakabra, ecc. Purtroppo, la sensazione è quella di una lunga, lunghissima preparazione a qualcosa che non arriva mai, un punto focale rinviato costantemente fino alla fine del disco. Questo conduce molto spesso a lasciarsi cullare dalle trame oniriche in una sorta di semicoscienza, preludio al totale abbandono. Sinceramente temo che la capacità di rimanere desti, concentrati, attenti, per l’intera durata dell’opera sia riservata a pochi veri estimatori oppure a momenti di elevata coscienza indotta.
Pur apprezzando la sua natura fuori dagli schemi, il bassissimo livello di fruibilità e l’alto rischio di perdere per strada l’ascoltatore, sono limiti che rendono l’album materiale eccessivamente elitario.
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