Ho comprato “
Obzen” più di un anno fa e ce l’ho ancora chiuso nel suo cellophane, non avendo ancora trovato il tempo di ascoltarlo. Ciò non perché mi manchi effettivamente il tempo, in fondo un’oretta la si trova sempre, ma perché l’ascolto dei
Meshuggah richiede attenzione, dedizione, concentrazione e, perché no, anche preparazione, mentale in primis. Dico questo da un lato perché voglio riuscire a sottolineare l’importanza che i
Meshuggah hanno per me, seguendoli io praticamente da sempre, e dall’altro lato perché voglio svincolarmi dal fare una rece nella quale tratteggiare la storia dell’evoluzione del sound della band di Umea.
Non conosco “
Obzen”, anche se me lo descrivono come l’apice più alto della loro evoluzione, e quindi non so dire se il qui presente “
Koloss” sia la sua naturale evoluzione.
Prendo la precedente affermazione per buona e dico vivaddio si sono fermati con l’evoluzione.
“
Koloss” (nome semplicemente adattissimo al sound di questo disco), rappresenta una rilettura del passato del band in chiave più moderna. Riascoltare le melodie malate di “
Chaosphere” (cfr. la mastodontica “
The Demon’s Name Is Surveillance”) mischiate all’appoccio asciutto e trashy di “
Destroy Erase Improve” (cfr. “
The Hurts That Find You First”) è capace di procurarmi un’erezione fulminea.
Anche dal punto di vista della produzione si è fatto un passo indietro, suonando questa più asciutta e scarna, nonostante i suoni bombastici. Per intenderci “
Nothing” era molto più pulito e pompato come suono.
Le stesse canzoni pur essendo strutturate e tecniche si perdono meno in ghirigori cervellotici, puntando molto più sull’impatto. “
I Am Colossus” e “
Marrow” sono vere schegge impazzite, pesanti come macigni. La tecnica è ovviamente al top, questa è gente che il suo mestiere lo sa fare e la precisione chirurgica dell’esecuzione trova vigore nel loro imperterrito suonare matematico, con strutture che prendono forma e sostanza solamente se viste nel complesso.
Provate a fare questo gioco, analizzate un singolo passaggio di una canzone, potrebbe apparirvi senza senso, poi provate a fare mente locale alla canzone nel complesso, scoprirete incastri, circolarità, richiami, melodie che divergono, riff gemelli che fanno strani giri per poi ricomporsi magicamente in un determinato punto e indirizzarsi verso la completa distruzione dei vostri padiglioni auricolari.
Il groove schiaccia e opprime, “
Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion” è oscura, minacciosa, pesante, un caterpillar che deforma l’asfalto sul quale cammina.
Non c’è un pezzo debole (la conclusiva, placida e strumentale "
Last Vigil" non fa testo), la qualità essendo sempre molto elevata, risultando così il disco compatto, omogeneo e coerente, dote non da poco.
I
Meshuggah non tradiscono, si autocitano, senza inventare nulla di nuovo, ma oggi come 15 anni fa sono ancora il modo migliore che farsi colare il cervello dalle orecchie in una poltiglia sanguinolenta.