Il 2012 continua a riservarci interessanti sorprese provenienti direttamente dal panorama di casa nostra. Ed eccoci di fronte a The Essence Remains, primo album del trio torinese “
L’Alba di Morrigan” pubblicato sotto etichetta
My Kingdom Music.
In buona parte ci ripropongono quanto realizzato in passato (tre anni fa) con la loro demo
“The Circle”, ma si trattava appunto di una demo e hanno quindi deciso di riportare i pezzi migliori anche in questo loro release ufficiale. Scelta saggia.
Ne viene fuori un percorso musicale ambientato in notturna tra dicotomie classiche: amore/odio e ancor di più luce/oscurità che –come dicono anche loro stessi- trovano un punto d’incontro nel crepuscolo o nell’alba, ma si è optato per la seconda quando terminato il rito della notte ne resta appunto l’essenza e un trovato equilibrio (la tracklist ha un ruolo cruciale nell’economia dell’album). L’ambientazione potrebbe essere benissimo la stessa di un sabba e anche le lyrics- popolate di demoni, fate e luoghi sacri- sono state realizzate su antologie pagane ed esoteriche di cui è un esempio anche la simbologia che viene proposta nell’artwork.
Il sound è costruito su una base post rock e fortemente alternative con chiari elementi dark. Padrona della scena è la chitarra di Ugo Ballisai capace di realizzare un’architettura mutevole divisa tra momenti pungenti e melodie angoscianti. La voce (sempre di Ballisai), che ha un ruolo quasi da narratore esterno, è pulita in tutte le tracce e non presenta elaborazioni degne di nota, questo non toglie l’ottima interpretazione in linea con lo scenario musicale; anche basso e batteria (rispettivamente Alessio Caruso e Luca Costanzo) instaurano un buon feeling che dà una base ritmica consistente su cui incastonare gli altri elementi.
Dall’insolita calma di
“Snowstorm” si arriva al finale turbolento di
“The Essence Remains” passando per la riflessiva
“Holy Mountain” scissa in due parti. E non si negano neanche di tornare a scomodare il demone tentatore per eccellenza, figura che ha attraversato i tempi e le culture dei popoli, e nel nostro caso viene rappresentato come la personificazione della vanità:
“Lilith” che dà il nome all’unica traccia in italiano dell’album (e qui la domanda: perché solo una?), elaborata su una ritmica evocativa, angosciante e dai toni di rassegnazione: testo semplice ma il risultato è massimo, la migliore insieme a
“The Fairies’ Circle”.
“24 Magatons” ed
“Equilibrium” sono due pezzi strumentali che però hanno tanto da dire e rappresentano in definitiva la vocazione stessa della band.
In conclusione un buon lavoro, completo, uniforme e allo stesso tempo policromo, eccovi una
preview.
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