Io questo disco l'ho rubato.
Non in un negozio eh, non mi permetterei mai, mi sono limitato a rubarlo al buon collega T-Golpe, che da bravo neo-assunto ha subito in silenzio il mio nonnismo. Ero curiosissimo infatti di scoprire dove sarebbero andati a parare i
Dark Empire dopo l'ennesimo stravolgimento di line-up, coinciso in particolare con l'addio del talentuosissimo
Jens Carlsson, vocalist anche di Persuader e Savage Circus. E devo dire che non sono rimasto affatto deluso, anzi.
I Dark Empire nascono nel 2004 da un'idea del virtuoso
Matt Moliti, proponendo un delizioso misto tra prog e power, sulla scia dei Symphony X, con la particolarità di aggiungere alla splendida voce del talento Jens Carlsson, all'epoca già nei Persuader, una voce in growl, la sua. Gli anni passano, vengono pubblicati due dischi di ottimo livello, ma la stabilità all'interno della band va troppo spesso a farsi benedire. A farne le spese sono un po' tutti i membri, a differenza del buon Carlsson che resiste per quasi 5 anni prima di mollare, dopo l'uscita del secondo disco della band "
Humanity Dethroned", per potersi dedicare a tempo pieno agli altri suoi progetti.
Nel frattempo cambiano ancora una volta gli interpreti e viene provinato
Brian Larkin, giovane chitarrista molto interessante, che dimostra di essere altresì il fortunato possessore di una grandissima voce, peraltro molto simile a quella di Jens. Larkin quindi viene "scartato" dal semplice ruolo di secondo chitarrista e promosso a vocalist, scelta quantomai azzeccata dopo aver ascoltato anche pochi minuti di questo
"From Refuge to Ruin".
I
Dark Empire ripartono pressoché invariati da dove ci avevano lasciati, pur coi cambi di cui abbiamo già parlato, offrendoci un prog decisamente "robusto", a tratti thrash, spogliato quasi completamente della matrice power del disco d'esordio, sulla falsariga di quanto proposto ultimamente dai già citati
Symphony X, dai
Persuader e dai
Savage Circus, oltre a vaghi richiami all'ultimo lavoro solista di
James LaBrie, soprattutto per "colpa" degli inserti in growl di Moliti, i quali sinceramente convincono molto meno di quelli di Wildoer.
Larkin alla voce offre una performance davvero solida e pregna di talento, risultando un perfetto mix tra l'ultimo
Russel Allen e il pluri-citato Jens Carlsson, senza mai dimenticare il maestro
Hansi Kursch.
Le canzoni sono tutte di caratura eccellente, sia tecnicamente (Moliti alla chitarra è davvero un fenomeno) sia a livello prettamente compositivo e di songwriting, a testimonianza che il buon Matt non è solo un ottimo chitarrista ma anche, e soprattutto, la vera spina dorsale dei Dark Empire. Meritevoli di citazione sono la title-track "
From Refuge to Ruin", l'iniziale
"A Plague in the Throne Room" e "
What Men Call Hatred", nella cui parte iniziale riecheggiano forti addirittura echi dei furono
Nevermore.
A corollario dei pregi già sciorinati, non fanno eccezione una produzione eccellente e cristallina e una copertina molto bella e particolare, soprattutto per l'uso dei caratteri del nickname e dell'album.
Si dice che il terzo album di una band sia quello della maturità, della conferma di quanto fatto di buono o di pessimo negli altri due. Beh, se questo fosse vero e dogmatico, i
Dark Empire sarebbero promossi a pieni voti. E siccome tendo a sposare questa visione delle cose, posso dire con certezza che la creatura di Matt Moliti, nella sua nuova forma, si candida a tutti gli effetti e a pieno diritto a nuova sensazione del metal mondiale. Direi che il mio furto è stato ben ripagato.
Quoth the Raven, Nevermore..