[…]… ed ora non rimane che auspicare un analogo trattamento per (vado a memoria …) Powergame, Airspeed, Time Escape, Rio Bravo, Whitefire, N.I.B., Gow, … Troppo?Con queste parole, un non più giovanissimo (
ma nemmeno decrepito, eh …), pimpante (
beh, insomma …) e competente (
see, vabbè …), scriba di una gloriosa (
questo sì, in maniera incontrovertibile!)
webzine terminava la recensione di “Afterimage”, la brillante retrospettiva dei Canada che ne sanciva la sacrosanta “riscoperta” (con contemporaneo ritorno all’attività “agonistica”… meglio di così …).
A distanza di qualche tempo quello stesso
figuro comincia a pensare che a volte i “desideri”, magari quelli non proprio destinati a cambiarti l’esistenza, ma comunque capaci di migliorartela almeno un
bel po’, si possono avverare, sconfessando, così, l’atavico pessimismo che normalmente lo contraddistingue.
Ebbene sì, la
misteriosa formazione senese che ha visto i primi passi
metallici di Adolfo “Morby” Morviducci (uno degli
screamer italiani per eccellenza … Sabotage, Domine, Time Machine, Labyrinth …) e Andrea Castelli (Rio Bravo, Shabby Trick, Cappanera, Mantra, …), che non era andata oltre la pubblicazione di tre
demo-tapes, capace di partecipare ad un programma RAI per gruppi emergenti (“Jeans”, condotta da un imberbe Fabio Fazio!) e per la quale la mancata affermazione è uno dei “grandi enigmi” artistici del nostro Belpaese, arriva oggi alla sua prima autentica pubblicazione discografica, e questo grazie all’opera
benemerita della Jolly Roger Records, non nuova a questi inappellabili atti di giustizia
storico-musicale.
“Airspeed” rispolvera, infatti, le prime due cassette dimostrative (opportunamente rimasterizzate, anche se il suono rimane ovviamente piuttosto lontano dall’esplosività di certe registrazioni attuali) di un gruppo nato con ardenti velleità metalliche (evidenti nell’omonimo nastro del 1983, proprio con Morby alla
rapace gestione microfonica) e “maturato” (anche se qualche irriducibile
metal-head potrebbe essere in disaccordo) in direzione
prog / pomp (tendenza avvertibile in “In the sky” del 1985, in cui le vocals e le tastiere sono appannaggio di Nicola Costanti) in un percorso terminato troppo presto (dopo il terzo favoloso demo “Pictures” del 1986, escluso da questa avvincente e purtroppo parziale
cronografia, la band metterà fine al suo breve arco vitale) e che avrebbe meritato ben altre soddisfazioni.
Non resta, dunque, che immergersi completamente in questa lezione di “storia”, da vivere con un pizzico d’inevitabile “nostalgia” nel caso siate
attempatelli e rimpiangiate un po’ il tempo in cui eravate “liberi, belli e selvaggi” (in realtà, forse, l’unica forma di rammarico da concedere a quella scena è la sua perentoria spontaneità, invalidata troppo spesso da scarsa professionalità e malcelate invidie …) o da fruire come un momento formativo di notevole spessore e godimento, nell’eventualità siate invece meno smaliziati e desideriate giustamente approfondire le vostre conoscenze sui pionieri italici del settore.
Si parte con l’arcigna “Stone to the glass”, doppiata dalla potente “Fireband”, ideali palestre per l’ugola già
famelica (e ancora un po’ immatura) di Morby, mentre le cadenze più articolate di “We're to stay” (titolo non molto profetico, invero …) e “The dark rave” sottolineano le sue notevoli capacità interpretative, esaltate ulteriormente dalla drammatica “Find my freedom”, un gioiellino di fosca intensità emotiva.
Con “In the Fairyland” il cambio di atmosfera è piuttosto evidente e repentino: Kansas, Saga, Twelfth Night, Styx e Pallas cominciano a sostituirsi a Queensryche, Judas Priest, Saxon, Iron Maiden e Virgin Steele nel cuore e nelle sinapsi cerebrali di Freddy Mazzuca, Castelli e dei suoi nuovi
pards, ed è proprio la
new entry Nicola Costanti a condurre, con la sua pastosa laringe, quelle “danze” ora diventate maggiormente raffinate ed aristocratiche.
“The house” lambisce il rock
adulto, “With a world in the sky” graffia e lusinga con la sua esuberante costruzione armonica e la melodia di “Go run” conduce l’ascoltatore in un clima di sospesa e rarefatta suggestione sensoriale.
Chicca finale, la trascrizione “fantasma” di “Is this love” di Bob Marley interpretata da Morby, per una conclusione all’insegna “dell’imprevedibile” e della spigliatezza espressiva.
Uscita assolutamente consigliabile, se, come anticipato, apprezzate la storia e le sue piccole
ingenuità formali, se volete
arrovellarvi anche voi nella questione “perché non ce l’hanno fatta?” o più semplicemente per trascorrere un’oretta del vostro tempo cullati da una dose di appagamento
cardio-uditivo piuttosto consistente.
Per quanto mi riguarda, dopo aver subito tutte le suggestioni appena citate, continuerò a propugnare con forza i miei “sogni” … visto che ha funzionato una volta, chissà che questa “bizzarra” e spesso (legittimamente) “archeologica” discografia attuale possa regalarmi (e regalarci) qualche altra graditissima sorpresa.