Se ripensiamo alla carriera degli
Overkill è facile capire quanto sia stata “sfigata” la band newyorkese. Autrice di ottimi album nei primissimi anni di vita, non ha mai ricevuto i giusti riconoscimenti, forse a causa di qualche passo falso nella parte centrale della sua avventura. In tempi di Big 4, però, e soprattutto dopo la pubblicazione dell’ottimo “
Ironbound", viene da chiedersi se non siano stati snobbati un po’ troppo, visto che, per correttezza bisogna ammetterlo, anche gli stessi Anthrax non hanno avuto tutto sommato una carriera così omogenea, alternando i primi capolavori a delle ciofeche veramente immonde. Incuranti di questi giudizi, i nostri cinque cavalieri thrash continuano imperterriti per la propria strada con una coerenza ammirabile, e danno alla luce il nuovo “The electric age”. Giusto per chiarire subito come stano le cose: questo disco spacca il culo, ed è un più che ottimo successore del già immenso “Ironbound”. La band è ispiratissima, oltre che incazzatissima, e ci butta in faccia cinquanta minuti di spietato thrash metal americano, basato su riff serrati, batteria pulsante e veloce, e soprattutto sulla splendida voce di Bobby “Blitz” Ellsworth, forse, ad oggi, la vera incarnazione dello spirito e dell’essenza del thrash singer. Menzione a parte merita invece D.D. Verni, vero motore pulsante della band, che col suo basso trascina i brani senza sosta. Sono passati solo due anni dal precedente full length, quindi era difficile aspettarsi un nuovo disco così ispirato, che colpisce subito nel segno, e invece gli Overkill ce l’hanno fatta, riuscendo forse perfino a migliorarsi, dimostrando, a tutti gli effetti, di star vivendo decisamente una seconda giovinezza. Il sedicesimo disco della band si apre con una doppietta micidiale, “Come and get it”/“Electric rattleshake”, per poi sparare all’impazzata schegge micidiali come “Save yourself” (la nuova “Bring me the night”), “All over but the shouting” e la splendida “21st century man”, di sicuro la hit del 2012 per la band. A chiudere il tutto “Good night”, introdotta da un delicato arpeggio di chitarra, prima che la band parta di nuovo in quarta, per sigillare al meglio questa nuova uscita. Nessun filler, solo tanta potenza, violenza e velocità, per un disco cattivo e arrabbiato, ma al tempo stesso cerebrale (niente è fine a sé stesso), che, nonostante la lunghezza media dei brani si aggiri spesso intorno ai sei minuti, non stanca, anzi, coinvolge tantissimo e ti fa venire voglia di premere di nuovo play dopo che Bobby sussurra ‘good night’ alla fine. Insomma, mentre gli altri si autocelebrano con tour mondiali altisonanti, gli Overkill pensano a sfornare ottimi dischi, prendendosi, finalmente, quella rivincita che gli spetta di diritto, e riportandosi prepotentemente ai vertici della scena thrash mondiale, dimostrando, con i fatti, di essere una band più che viva, una band più che in forma…
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