Il nome
Tombstones mi ricorda la famigerata “collina degli stivali”, i duelli di pistola sulle polverose “main street” e tanti altri classici elementi, veri o cinematografici, dell’epopea del selvaggio West. Invece, le analogie terminano qui. Infatti il gruppo in questione è un trio norvegese, che ci propone un pachiderma artico. Un minaccioso e pesantissimo parto sludge, nero e colloso, infettato di tenebra ma sorretto da una sorta di groove opprimente ed oppiaceo. Le cadenze sono grevi e stordenti, i riff circolari ed il basso poderoso si completano con un drumming saturo, i brani insistono sull’effetto soffocante e sull’atmosfera fumosa.
Chi sta pensando di aver già letto un sacco di descrizioni del genere, ha perfettamente ragione. I Tombstones risultano nulla più che onesti mestieranti di settore, ed i loro brani rientrano nella norma di questo filone privi di alcun retrogusto personale. Neppure l’uso sporadico della voce pulita ma virile, in cerca di qualche spunto melodico vincente, aggiunge un sapore particolare alle composizioni del trio.
Questo non impedisce di apprezzare l’intensità rocciosa di “Quintessence” o la sinistra cupezza di “Sabbathian”, che già nel titolo omaggia i numi tutelari di questa scena, ma è indubbio che l’album non si discosta affatto da ciò che formazioni come Sleep, Bongzilla, Witch Mountain e tantissimi altri, hanno realizzato nell’ultimo decennio.
Disco di routine, sufficiente ma interessante solo per completisti.
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