Dopo averlo ascoltato alle prese di "Far From the Madding Crowd", terzo (ed ottimo) album dei Wuthering Heights, eccomi incrociare nuovamente la strada con Nils Patrik Johansson, dotatissimo cantante che per anni si era "nascosto" a cantare brani di Deep Purple e Rainbow in una cover band dal nome Purple Rain. Poi all'improvviso ed in una manciata di mesi lo si trova a presenziare su ben tre differenti album, con i Richard Andersson's Space Odyssey, i già citati Wuthering Heights e per l'appunto su "Of The Son And The Father" degli Astral Doors, che in Giappone uscirà con titolo ("Cloudbreaker") ed una copertina (fortunatamente) diversi, oltre che con le consuete bonus tracks. Non ho ancora avuto l'occasione di ascoltare "Embrace The Galaxy" degli Space Odyssey e quindi non posso fare paragoni, ma rispetto ad un album variegato come "Far From the Madding Crowd" negli Astral Doors i suoni sono decisamente più semplici e legati alla tradizione, dove il principale punto di riferimento è rappresentato sicuramente dai Black Sabbath, sia per la musica proposta sia per il cantato di Patrik, che si propone come l'anello di congiunzione tra Ronnie James Dio e Tony Martin. Paragoni che scottano, eppure il cantante svedese regge il confronto pagando solo pegno per il rifarsi in maniera sfacciata a certi ingombranti modelli. Peter Tätgren, che si occupa della produzione, riesce a dare un taglio spesso e potente alle canzoni, e l'album suona attuale ed allo stesso tempo senza voltare le spalle alla tradizione. "Cloudbreaker" è una rocciosa opener con un certo flavour Purpleiano alle tastiere, dove si mette subito in evidenza la voce piena e potente di Patrik, e si distinguono anche le chitarre di Joachim Nordlund e Martin Haglun. Meno tirata la seguente titletrack che richiama in maniera spudorata le atmosfere di "Headless Cross". Nemmeno "Hungry People" e "Slay The Dragon" eccellono in velocità, eppure mettono in mostra il buon gusto degli Astral Doors che, a discapito di un songwriting derivativo, dimostrano di avere le idee ben chiare su come realizzare un buon pezzo. "Ocean Of Sand" potrebbe averla tranquillamente incisa Axel Rudy Pell, mentre gli Astral Doors possono essere orgogliosi di aver composto un pezzo come "The Trojan Horse" che sprigiona quell'epicità che discende da quel capolavoro che ha per titolo "Heaven & Hell". Comprensibile il breve momento di calo con la rockeggiante "Burn Down The Wheel", ma ci si riprende in fretta con le atmosfere sulfuree di "Night Of The Witch". In chiusura "Man On The Rock" è il pezzo che mostra più degli altri un feeling ottantiano, ed in questo aiutano le uscite di Jocke Roberg alla Jon Lords e un refrain ammiccante.
Una gradita sorpresa. Certo non inventano nulla, ma lasciamo pure quest'onere ad altri.
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