La Tee Pee Records mi piace, perchè si sforza di offrire sempre qualcosa che sia almeno fresco e fuori dagli annosi mainstream del rock. Essendo una piccola etichetta americana indipendente, è obbligata a puntare su quelle formazioni sconosciute ed invisibili alle grandi label del mercato discografico. Qualche volta ci azzecca, altre no.
L’introduzione conduce fortemente a chiedersi in quale categoria collocare i californiani
Whirr: positiva o negativa? Onestamente non lo so.
Questi sei imberbi ragazzini americani, che sembrano dei diligenti studentelli del liceo, hanno realizzato uno di quei dischi che sembrano costruiti sul nulla, leggeri come bolle di sapone ed altrettanto consistenti. Eppure ha qualcosa di piacevole, pieno di ingannevoli trame sognanti ed accenni all’alternative rock degli anni ’90.
Avete presente i ritmi placidi e rilassanti di due o tre chitarre acustiche, strimpellate da qualcuno sulla spiaggia, di notte, intorno al fuoco crepitante. L’atmosfera calda e avvolgente che invitava le giovani coppie di innamorati a giurarsi qualcosa di eterno, che già svaniva al primo levar del sole, mentre gli altri si accontentavano di perdersi nell’orizzonte racchiuso dalle tenebre?
Però, appena percettibile, c’era sempre quella vibrazione di struggente malinconia, il soffio gelido e amaro dei momenti vissuti ma già passati, che rendeva l’allegria una forzatura ed i sorrisi pallidi e tirati.
Bene. Elettrificate le chitarre e distorcetele un poco, ma senza esagerare, piazzate come sostegno la batteria ed aggiungete ogni tanto delle tastiere sfuggenti, infine completate il tutto con un paio di voci gentili che vi accarezzano da lontano e disegnano ammalianti melodie, e grosso modo ottenete i Whirr.
Il primo pezzo,“Reverse”, si apre con un esile
temino per sole chitarre e voci, racchiuso in un’atmosfera sognante e lunare. A metà brano entrano gli altri strumenti ed il tono cresce parecchio, ma senza abbandonare il sentiero iniziale. Le schitarrate diventano graffianti e spigolose, le voci proseguono nella loro melodia, intervengono cenni di tastiere, ed il tutto prosegue così fino alla fine dei circa tre minuti di durata. Stop.
L’album, tranne un paio di rapide incursioni in una sorta di easy-punk, in pratica segue lo stesso schema, con ovvie variazioni nel cantato e sfumature strumentali. Il paragone migliore che sono riuscito a scovare, comunque insoddisfacente, è un mix tra i Pink Floyd di “Ummagumma” ed i Grateful Dead senza acidi, prendendo minuscoli brandelli di entrambi.
Poetico o moscio, originale o superfluo, ammaliante o soporifero, il disco mira totalmente all’aspetto emozionale della musica, perciò è difficile da giudicare ma ancor di più da consigliare. Esempio perfetto di lavoro che può piacere a chiunque come a nessuno. Tenendo però conto che l’incertezza è causata da sei pischelli post-adolescenziali al loro debutto, la sufficienza è piena.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?