A due anni di distanza dal debutto autoprodotto ("Of Oak And Iron") tornano sul mercato gli americani
Stonehaven. Fin qui niente di straordinario se non fosse che gli Stonehaven vengono da Kansas City e suonano ( o vorrebbero suonare?) viking black metal! Se riusciamo a mettere da parte questo dettaglio geografico ci troveremo di fronte ad una band che nonostante la giovane età dei componenti (tutti intorno ai vent’anni o poco più) non riesce assolutamente a colpire per freschezza di idee o capacità di coinvolgimento. I quasi cinquantanove minuti dell’album si articolano in otto pezzi tutti mediamente oltre i sette minuti ad eccezione di "Death Fetter" che supera di poco i cinque, e questa è davvero una gran fortuna, infatti pur essendo solo al secondo pezzo in scaletta, ci troviamo già di fronte al peggiore dell’album, costruito intorno ad una melodia banalotta che si trascina avanti stancamente. Onestamente non so se abbiano cambiato screamer o meno dal debutto ad oggi, ma sinceramente non mi meraviglierei di vederne uno nuovo dal prossimo album (se mai ci sarà) visto che il buon Stephen Holdeman si conferma sufficiente nelle parti più veloci, ma quando si richiede qualcosa in più dal punto di vista melodico, come nella interessantissima "Coins Under Corpse", diventa il vero punto debole della formazione. Curioso come l’album si divida quasi in due con le songs peggiori piazzate in apertura, e le migliori dalla metà in poi. Tra queste, la già citata "Coins…" dove gli echi dei migliori Enslaved del debutto si fanno ben sentire regalandoci un pezzo semplice ma assolutamente efficace, da non dimenticare "Addressing The Scorn Pole" che ha il pregio di risvegliare dal torpore iniziale e porci in maniera più positiva per il prosieguo dell’ascolto . Menzione meritata per la conclusiva "Observe The Symbol" vero e proprio manifesto degli Stonehaven, negli oltre otto minuti troviamo infatti tutte le caratteristiche del gruppo elaborate in maniera ispirata ed efficace, con un gran guitar working sempre azzeccato dal punto di vista melodico e sorretto da una sezione ritmica essenziale ma possente. Gli Stonehaven pur muovendosi in sentieri sonori a "rischio", hanno il grande merito di non scadere mai nel folk vikingo da "sagra di paese" neanche nei momenti meno ispirati, e questo, per il sottoscritto, è un grande complimento. Ricercata e dettagliata la "storica" copertina che rappresenta il sacrificio pubblico di Raud Il Forte, un prete pagano della Scandinavia del decimo secolo, per volere del re norvegese Olaf Trygvason, "famoso" per aver costretto il popolo norvegese alla conversione al cristianesimo con metodi molto spicci... Nonostante goda di una buona "spinta" sul web, "Concerning Old-Strife And Man-Banes" è un album che troverà un briciolo d’attenzione solo tra gli amanti di Taake ( da denuncia il furto del riff iniziale nell’opener "Suffering The Swine Array"), Enslaved (i primi) e Drudkh (meno ispirati) riarrangiati in chiave molto semplice e underground, per gli altri neanche il ricordo di questa recensione…
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