L’ottimo risultato di vendite di “Snakes of the Divine”, a mio parere una delle migliori uscite del 2010, ha fatto lievitare le attese per il nuovo lavoro degli
High on Fire, diventati ormai una positiva realtà del panorama heavy internazionale. Il trio americano ha scelto di non provare a replicare la fortunata formula di due anni fa, ritornando su coordinate più vicine ai feroci temi di “Death is this communion” e perfino “Blessed black wings”. Così pesantezza e violenza, inserite in un contesto nero come la pece, sono nuovamente le caratteristiche portanti di questo lavoro. Pike e compagni hanno realizzato un massiccio, sferragliante, compatto blocco di metal oscuro e torbido, iniettando forti dosi di doom spiritato ad un impianto heavy già feroce e monolitico di suo. La chitarra lancinante e la voce sanguinante del leader, il basso magnetico di Jeff Matz (già negli adrenalinici Zeke) ed il drumming dilagante, totalitario, di Des Kensel, seguace del “modello” Brann Dailor, osannato batterista dei Mastodon, non si concedono pause dall’inizio alla fine, perseverando con cadenze dal tonnellaggio impressionante. Chi preferisce la scarica brutale ed opprimente, piena di echi isterici, ha l’imbarazzo della scelta. Dall’iniziale “Serums of liao”, passando per la violenza di “Bloody knuckles” e “Spiritual rights”, fino alla tellurica title-track, è un continuo susseguirsi di esplosioni frastornanti ed accelerazioni spezzacollo. Altrimenti ci si può esaltare con qualche brano che estremizza le distorsioni allucinate dei grandi Sleep, ad esempio “Fertile green” e soprattutto la tossica “Madness of an architect”, forse il migliore brano del disco.
Altra novità, si tratta di un concept-album. Ammetto che la storia escogitata da Pike, una mente non sempre lucidissima, mi è rimasta un poco oscura, in sintonia con lo stile della formazione. Comunque, pare riguardi un fratello gemello di Gesù Cristo (!?!) in grado di muoversi lungo il flusso temporale, alla disperata ricerca del “Mistero del Verme” che funge da titolo del disco. Non ho ulteriormente approfondito, però penso si possa almeno lodare la buona volontà del musicista.
Un lavoro che sono certo piacerà moltissimo ai fans più oltranzisti, quelli che avevano subito bofonchiato per i relativi cenni di accessibilità del precedente, che a mio avviso rimane un tantino superiore a questo. Ma ciò che conta veramente è che gli High on Fire, partiti in sordina una dozzina di anni fa, sono velocemente cresciuti fino a trovare la propria brillante identità ed attestarsi su livelli molto alti, in un ambito sempre più deciso ad incarnare la parte viscerale e sregolata della musica heavy.
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