Se analizzando la
line-up di questi
Player vi sembra di aver individuato un nome piuttosto noto e non (solo) perché siete dei
musicofili enciclopedici, o se nelle immagini del gruppo vi è sembrato di scorgere un individuo dalla “mascella” volitiva per il quale anche la vostra mamma ha probabilmente “sospirato” più di una volta, niente paura, non siete vittima di un’allucinazione da
sovraesposizione catodica … Ronn Moss, oltre che interpretare da venticinque anni l’inamidato Ridge Forrester nella
soap Beautiful e presenziare ad una recente versione nostrana di “Ballando con le stelle”, è anche un valente musicista e cantante e questa è proprio la formazione che contribuì a fondare, al crepuscolo dei
seventies, con Peter Beckett, J.C. Crowley e John Friesen.
Dalle nostre parti quasi sconosciuti, i Player, patrocinati da Robert Stigwood per la RSO Records (label a cui si deve l’affermazione di Bee Gees e delle colonne sonore di “Saturday night fever” e “Grease”), ebbero un notevole successo negli U.S.A., e grazie al singolo “Baby come back” conquistarono la palma di “
Best New Singles Artist” dell’autorevole Billboard, conquistando l’attenzione di Eric Clapton (che li volle come
special guest nel suo tour del 1978) e condividendo il palco anche con artisti del calibro di Heart, Boz Scaggs, Kenny Loggins, Gino Vannelli e molti altri.
Cinque album complessivi (ma solo quattro con Ronn, che lasciò temporaneamente la band nell’81, per concentrarsi sulla sua fortunata carriera d’attore, culminata negli
sfiancanti intrighi della
Forrester Creations), compreso il “ritorno di fiamma” del 1997 (“Lost in reality”), con la
parnership tra Beckett (per lui il curriculum parla di soddisfazioni come autore, come membro della Little River Band e come solista) e Moss solidamente ristabilita, fino alla realizzazione di questo “My addiction”, Ep digitale (disponibile in tutti i principali negozi “virtuali”), licenziato come assaggio dell’albo completo (previsto per la seconda metà del 2012) e come supporto al tour promozionale che li porterà finanche nei programmi televisivi delle nostre lande.
Il “disco” in questione contiene tre brani: una nuova registrazione dell’
hit “Baby come back”, che lo riconsegna in tutta la sua vaporosa essenza
pop / west-coast (tra Hall & Oates, Cristopher Cross e Bee Gees), certamente gradevole ma forse anche un po’ stucchevole, una
title-track (già apparsa in “Uncovered” del Moss solista) dalla melodia delicata e abbastanza impalpabile e una deliziosa “Too many reasons” (scritta, al pari di “My addiction”, con il contributo di Steve Plunkett), in cui, invece, emergono tutte le migliori caratteristiche espressive di questa
band, di certo superiore ai suoi brani di maggior popolarità e ai motivi “esterni” che possono attrarre il pubblico meno smaliziato.
Ed eccoci alle ragioni per cui “My addiction” è importante e deve essere portato all’attenzione dei nostri lettori, pur nella sua “atipica” (almeno per quelli della mia generazione …) configurazione … i Player meritano di essere “riscoperti”, perché la loro musica rappresentava assai bene (analogamente ad Ambrosia, Doobie Brothers, Chicago, Air Supply, Steely Dan, E.L.O., 10 cc.,The Alan Parsons Project, gli stessi Hall & Oates e pure certi Toto …) il lato più
soft ed
easy listening del
rock adulto statunitense, e anche soltanto recuperare e approfondire degnamente il loro lavoro passato (“Come on out”,“Silver lining”, “Love in the danger zone”, “Room with a view”, “If looks could kill”, “Footprints in the sand”, sono solo alcune delle
lost gems da rispolverare …) è un’operazione benemerita che gratificherà sicuramente gli appassionati del genere.
Il nuovo album ci dirà se si tratta di una semplice “rimpatriata” o se c’è qualcosa di maggiormente rilevante dietro questo ennesimo “ritorno” … per il momento, indurci a tornare a parlare dei Player, e per i motivi “giusti”, è già da aggiungere agli innumerevoli meriti della Frontiers.