Dalla lontana Australia proviene questa monicker dietro al quale si nasconde il master mind Waldorf, polistrumentista a cui si deve la genesi di questo “Griseus”.
Partendo da un black metal piuttosto sofferto, il Nostro compie divagazioni neoclassiche/folk dal taglio sofferto ed intimista i cui punti di contatto possono riecheggiare ai più sia alcuni passaggi degli Agalloch o dei Dimmu Borgir, sia l’esperienza sinfonica maturata da band gothic quali, ad esempio, i Lacrimosa del periodo “Elodia”.
Le canzoni sono attentamente articolate e Waldorf fa di tutto per non disperdere l’attenzione dell’ascoltatore durante i passaggi acustici e meno elettrici. In questo senso il manifesto di “Griseus” sono le prime due tracce, la lunga “Nihil” e la successiva “Loss”, nelle quali è evidente l’amore di Waldorf per l’etereo e per l’introspezione. Le chitarre e le vocals black vengono utilizzate solo in determinati momenti, oserei quasi centellinate, per evidenziarne la drammaticità o l’epica grezza.
La durata importante dei brani, in “Night bell” si sfiorano addirittura i diciotto minuti, e la ricercatezza della sinfonia, non consente il classico ascolto veloce e distratto che spesso concediamo a diversi cd. Ci vuole concentrazione nonché lo spirito, l’attitudine giusta per poterne apprezzare la visione di insieme.
“Griseus” non è proprio uno di quei lavori che può esser messo mentre si va al lavoro in auto.
Waldorf il sasso nello stagno lo ha gettato, bisogna ora vedere se la sua proposta verrà positivamente recepita e se il Nostro avrà ancora voglia di cimentarsi con un’opera così complessa.
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