Se pensate che la
rivoluzione globale possa prendere avvio da “cose semplici”, e che, in fondo la vera
sedizione sia tale solo se i suoi contenuti possono essere compresi dalla maggioranza dell’
umanità e non solamente da una ristretta
élite, il mio consiglio è di concedere una doverosa
ascoltatina a questo “Global revolution”, primo parto discografico sulla lunga distanza dei veronesi
Ratzmataz.
Ovviamente, alle suddette condizioni bisogna anche aggiungere quella di essere dei
rockofili, meglio se un po’
viziosetti, facendo parte, insomma, dei tanti estimatori di AC/DC, Led Zeppelin, Kix, Guns n’ Roses, Def Leppard, (primi) Cinderella, Britny Fox, Tesla e Aerosmith.
Al di là di ogni rudimentale
espediente “da recensione”, indipendentemente dalle eventuali velleità “sovversive” del lettore, rimane il valore di questi scabrosi
rockers veneti, artefici di un dischetto piuttosto godibile, privo, in realtà, di autentiche “novità” formali, eppure capace di ammantare di brillante
vitalità una serie di manifestazioni espressive assolutamente
familiari, tanto da farle apparire se non proprio
innovative, almeno
fresche e
coinvolgenti.
Un effetto sicuramente non banale, in un mercato ipersaturo e in cui il “classico”, nelle varie accezioni del termine, occupa una bella “fetta” della “torta”.
Pilotati dalla voce granulosa e graffiante (una “roba” tra Bon Scott e Axl Rose, con appena un pizzico di Brad Sinsel) dell’ottimo Loris Marchiori, al contempo pregevole
guitar-hero della situazione, il
power trio scaligero dimostra di saper trattare la “materia” in tutte le sue sfumature, che si tratti di trascinare, far cantare e far agitare il “sederino” dell’astante (la
title-track, “It’s alright”), di conquistarlo aggiungendo alla questione deboli
foschie (nelle potenti “Take me home” e “Burn”), spigliati guizzi
sleaze (il tocco Poison-
esque in “Go to gay pride” e quello vagamente WASP-
iano – sarà pure per l’assonanza nei titoli, ricordando la mitica “I wanna be somebody” – di “Nobody needs somebody”), virile e drammatico sentimento (la perla “Angel” e la buona “Priscilla”, dove sono Aerosmith e GNR a fornire l’ascendente maggiormente rilevante) oppure scorie palesi di appassionato
hard-rock blues (i Led Zep celebrati in ”Before sweet” e “Sweet lady”).
Anche quando si tratta, infine, di polarizzare la parte più emotiva e raffinata delle terminazioni nervose dell’ascoltatore (con “Her love is stronger than my pain” e la notturna “Too late”), i nostri ostentano notevoli attitudini specifiche e un’eccellente padronanza interpretativa, offrendo addirittura, visto lo spessore e la peculiarità del risultato, un possibile punto di partenza per intriganti evoluzioni artistiche.
Emergere in questo contesto non sarà impresa “facile”, data la sponsorizzazione di “certa” concorrenza e una scelta obiettivamente ampia e agguerrita e tuttavia
prevedo (è anzitutto un
augurio, eh, sebbene basato su dati “oggettivi” …) per i Ratzmataz un futuro
gratificante, soprattutto se riusciranno a portare la loro viscerale proposta musicale sui palchi più roventi e “sporchi” del globo terracqueo, ambientazione ideale per far esplodere al meglio tanta passione e grinta.
E poi, come può “fallire” un gruppo che marchia con un imprescindibile “God bless rock n’ roll” la copertina del suo debutto discografico?
Impossibile … che la rivolta abbia inizio!