Prendete il
punk, l’
hard rock e il
glam, incorporate una porzione generosa di
B-movies horrorosi, di teatro
Grand Guignol e di fumetti dell’
EC Comics, frullate il tutto vorticosamente e, attingendo dal crogiuolo gorgogliante così ottenuto, in cui sguazzano contemporaneamente Alice Cooper, Misfits, Motorhead, Sex Pistols, Murderdolls, Electric Frankenstein, Lordi e Rob Zombie, distillate il prodotto aggiungendo una suppletiva dose d’ironia e d’
irriverenza (conosco qualcuno che potrebbe considerare un titolo come “Fear of the park” un atto di
lesa maestà …): otterrete qualcosa di molto simile a quanto proposto dagli
Splatters, formazione lombarda che in realtà racchiude nel suo stesso
monicker un’eloquente sintesi delle velleità espressive ed artistiche che la alimentano.
Come nella migliore tradizione, l’impressione è che il tutto sia votato all’ostentazione della (goliardica) efferatezza e del grottesco, utilizzando, tutto sommato, un immaginario
concettual-musicale piuttosto comune e consolidato, eppure la dote migliore del gruppo è di non scadere nella “caricatura”, dimostrando adeguata disinvoltura e vocazione al genere.
Certo, non è il caso di aspettarsi un risultato particolarmente “destabilizzante”, e tuttavia a differenza di quanto accade purtroppo sempre più spesso nello speculare terreno cinematografico, la sceneggiatura non annoia, pur nel suo
prevedibile e
lineare svolgimento narrativo.
Tutto da copione, insomma: voce vetriolica e penetrante, chitarre affilate, ritmiche martellanti, controbilanciate da qualche momento di effimera
tregua (simili, in qualche modo, al barlume di rimorso e di malinconia che balena nell’occhio del
killer psicopatico un attimo prima di sferrare la catartica “mannaiata squartatoria”!) e tuttavia la tentazione di “cambiare canale” non è mai pressante, anche se, è bene precisarlo, la mancanza di autentici “colpi di scena” è da considerare pure in tale contesto uno dei difetti da correggere per l’eventuale ed auspicabile
sequel.
Tra i momenti più “impressionanti” citerei senz’altro “Welcome to Zombieland”, con un
refrain fatto per essere cantato a squarciagola, la cruda “Here come the monsters”, la sinistra “Die in a leather jacket” e le tentazioni lievemente più “moderne” di “Why do they always die in this way?”, senza dimenticare lo strisciante
gioiellino “Hope” (una “roba” tra
zio Alice e i TSOL), la decadente “My lucky 13” (con un vago sentore d’ammiccamento ai primi 69 Eyes) e la suggestiva “Dark way”, perfetta per i titoli di coda dell’opera, quando ormai l’
incubo è apparentemente finito e il
male sembra essere stato sconfitto, lasciando, però, quel pizzico d’incombente inquietudine nell’astante.
Benvenuti nel parco dei divertimenti gestito dagli Splatters, dunque … le sue attrazioni non faranno proprio “paura”, eppure vi garantiranno una situazione ricreativa e adrenalinica, priva di particolari ambizioni e di stupefacenti
effetti speciali …
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