Prendete gli Zeke e metteteli a suonare in un qualsiasi locale, in pochi minuti la temperatura del posto salirà a livelli di sauna, scariche elettriche sfrigoleranno sui muri, il pavimento inizierà a tremare e frotte di persone sudaticce assalterà il bancone del bar e lo stand delle t-shirt. Una cosa che succede immancabilmente da dieci anni ogni volta che questo trio si esibisce, perché è il prototipo della band nata per girare il mondo e suonare ovunque, dal megafestival internazionale alla bettola con dieci spettatori sempre con la medesima eccitante energia.
Si mette giù piuttosto velocemente un nuovo album per avere il pretesto di ripartire in tour, macinare chilometri per un po' di mesi, spaccarsi per benino, rientrare alla base e ripartire da capo. Nessuna filosofia astrusa, tutto semplice e schietto come lo è questo "Til the livin'end" che inaugura la collaborazione del gruppo con la Relapse.
Difficile resistere al tiro micidiale degli Zeke, al loro groove ultra-speed, al casinismo divertente, perché stimola la naturale voglia di scatenarsi che c'è in ognuno di noi, il piacere di farsi trascinare dal ritmo grezzo e frenetico di un rumoroso, metallico,"dirty rock'n'roll". Di questo si tratta, anche se molti insistono a definirli una formazione punk. Loro sono punk quanto possono esserlo i vecchi Motorhead, dei quali sono emuli fino al midollo con punte che sfiorano quasi il plagio, vedi il rallentamento dal sapore acido di "Dragonfly" che sembra ricalcato dalla antica "Capricorn". Sono gli indomabili speedfreaks glorificati nel famoso anthem di "Iron fist", gente che vive e suona con la voracità di chi vuole bruciare prima di scoprirsi ingrigito e pensionato.
Non bastasse Lemmy c'è sempre quel retrogusto hard-stoner che magari non è tanto evidente negli Zeke, ma aleggia forte sul progetto parallelo Camarosmith portato avanti dalla coppia ritmica della band (e recensito da poco su Eutk..), e che comunque affiora anche qui nel chitarrismo sporco e pesantissimo di Felchtone.
Certo i brani dell'album si somigliano un po'tutti, il pedale dell'acceleratore è costantemente schiacciato fino in fondo, non è in quest'album che troverete arrangiamenti lussuosi, ma i pezzi passano così scattanti e fulminei che non fai in tempo ad accorgerti di niente. Forse è proprio nella brevità scarnificata delle canzoni che si può cogliere un'attitudine punkeggiante, ma dopo qualche botta schizzata come "The hammer","On through the night","Little queen", è chiaro che non risultano tante chiavi di lettura del disco. Ci si immagina a bordo di un dragster sparati a velocità folle con il sapore dell'adrenalina in gola e i gas di scarico nelle narici, quell'emozione che dura un attimo ma fa sentire godutamente vivi.
E' un bene che in giro ci siano ancora Zeke, Zen Guerrilla, Antiseen, gente ancora in grado di ricordarci che la musica heavy è anche sfogo, rabbia, furia, volume assordante, e soprattutto vitalità e passione. Un disco che magari perderà un po' d'interesse col tempo ma che per le prime settimane faticherà ad uscire dallo stereo, al giorno d'oggi non è poco.
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