“Bring heavy rock to the land” è l’eloquente titolo del nuovo album di
Jorn … da dove cominciamo per commentarlo? Ponendo l’accento sul
curriculum impressionante del
vocalist norvegese? Ricordando le polemiche che un disco come “Dio” ha inevitabilmente alimentato? Oppure dalle capacità obiettivamente
straordinarie della sua laringe, capaci di spalancargli i maestosi portali di quell’Olimpo delle “voci divine” in cui il mitico e compianto Ronnie James sarà per sempre uno dei
numi fondamentali?
Tutte le soluzioni sono plausibili, ma direi che in questi casi (una situazione analoga accade per i lavori di Jeff Scott Soto, ad esempio) l’analisi, pur non potendo prescindere da una
scontata irreprensibilità tecnico-interpretativa, dovrebbe esplorare soprattutto aspetti quali la “freschezza” e la vivacità delle composizioni, sebbene in un prevedibile ambito di celebrazione dei grandi dell’
hard rock, andando a verificare la dose di significativa forza espressiva iniettata nelle fibre della consolidata “coscienza storica”.
Ebbene, mettiamola così: se siete fans irriducibili di Rainbow, Sabbath & Whitesnake (ma anche di Judas, Saxon e Maiden, in parte …) se la riproposizione sistematica, sebbene piuttosto “illuminata”, delle loro leggendarie modalità operative non v’infastidisce e se quel refolo di “scientifica premeditazione” che spira sull’intera operazione non vi distoglie dall’effettivo pregio del prodotto nel suo insieme,
beh, direi che difficilmente troverete di
meglio nel pur inflazionatissimo
metalrama contemporaneo.
Un Jorn veramente “spaventoso” per qualità specifiche e per una forma di “trasformismo” vocale al limite della perfezione assoluta, vi condurrà in questo magico mondo in cui i L’
Arcobaleno e il
Sabba Nero sono in ottima forma (le visioni ancestrali che aleggiano nell’acustica opener “My road”, la
grandeur epico-metallica della
title-track e i riffs carnivori di “Time to be king”, che molti ricorderanno nella versione più
sinfonica dei Masterplan, o ancora la frenetica “Chains around you”, ennesima testimonianza della ricca progenie di “Spotlight kid”), in cui il
Serpente Bianco non risente di alcun inevitabile acciacco e rende intraprendenti le sue sinuose movenze (la
sudista “Black morning” e le scintillanti “A thousand cuts”, “The world I see” e “I came to rock”, in realtà una sorta d’
interpolazione ‘Snake / Rainbow) e in cui, perché no, una certa
Vergine di Ferro e un noto guerriero
Sassone scendono in campo ad offrire il loro vibrante contributo (ascoltare “Ride to the guns” per referenze).
A tutto questo “ben di Dio” (& C.) aggiungete una trascrizione di “Ride like the wind” degli stessi Saxon (in realtà il brano originale è di Cristopher Cross, ma la rilettura di Lande è ovviamente più vicina a quella già effettuata a suo tempo da Byford e dai suoi
pards) e otterrete esattamente quello che vi aspettavate (e che Jorn e la stessa etichetta, in definitiva, promettono tramite il materiale promozionale) … un Cd assai competente di
heavy rock “classico”, privo di reali novità eppure lontano quanto basta dalle caratteristiche dell’esercizio di stile da convincere fin dal primo ascolto anche il più esigente degli appassionati.
Un
tributo convincente, adeguatamente ispirato e godibile che, al di là di ogni altra eventuale considerazione, ripagherà i vostri investimenti orientati ad una strategia di “capitale protetto e rendimento garantito”… di questi tempi, è senz’altro un buon risultato.
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